L’ingegnere Haitham Ghanem ha avuto una vita più o meno simile a quella di tanti altri palestinesi¬ profughi. Costretto a lasciare il Kuwait durante la prima guerra del Golfo tra l’Iraq e gli “Alleati” – la prima delle tante coalizioni messe in piedi da Washington per le sue guerre in Medio Oriente – Ghanem con pochi soldi in tasca arriva in Giordania, dove conosce sua moglie, per poi approdare, dopo una parentesi di studi negli Usa, in quel fazzoletto di terra palestinese che è la Striscia di Gaza. Da allora ha vissuto assieme agli altri abitanti di Gaza tre grosse offensive militari israeliane e un numero elevato di attacchi più contenuti, ma non per questo poco devastanti e letali. L’ingegnere Ghanem comunque non si dispera. Ama descrivere agli stranieri che vanno a trovarlo le straordinarie capacità dei palestinesi di Gaza, quello sanno fare, costruire e realizzare, nonostante le difficoltà quotidiane, la mancanza di mezzi, il blocco imposto da Israele, l’isolamento praticato dall’Egitto. Sono davvero tante le eccellenze di Gaza, ma di loro si parla ben poco. Maryam Abu Eatewi, ad esempio, una ragazza fresca di laurea in informatica all’Università Islamica, con un piccolo finanziamento di Google, ha realizzato una app per smartphone, Wasslni, per la razionalizzazione dei trasporti in taxi nei centri urbani e da una città all’altra. In pochi mesi Wasslni ha raccolto l’interesse di importanti società tra la Giordania e gli Emirati e Maryam, assieme a ragazzi come lei, ha prontamente aperto “Gaza Sky Geeks”, start up a sostegno della “impreditoria digitale”.

«Le eccellenze sono tante ma a Gaza i problemi purtroppo sono enormi e tra quelli più gravi c’è la poca energia elettrica disponibile», ci spiega Ghanem mentre con un taxi collettivo ci muoviamo assieme verso il quartiere di Shujayea, uno dei più devastati dai bombardamenti israeliani della scorsa estate. «Abbiamo una sola centrale elettrica che riusciva a coprire solo parte del fabbisogno – prosegue -, uso il passato perchè è stata colpita (la scorsa estate) dagli israeliani ed ora è ferma. La poca energia elettrica, poche ore al giorno a rotazione tra le varie aree di Gaza, arriva da Israele e dall’Egitto. È un problema enorme che colpisce tutta la popolazione e crea grandi difficiltà ai servizi pubblici, a cominciare da quelli sanitari». Ghanem per lungo tempo ha studiato le possibilità tecniche per aiutare gli ospedali, costretti a ricorrere a costosi generatori autonomi per garantirsi l’energia necessaria per rimanere operativi. «La svolta à avvenuta nel 2011 – ci dice – grazie a un incontro in internet tra scienziati. Ho avuto modo di conoscere gli italiani Barbara Capone e Ivan Coluzza, ricercatori dell’università di Vienna». Da quel giorno Ghanem e i suoi colleghi italiani hanno stretto, oltre ad sodalizio molto produttivo, una sincera amicizia. Sino ad oggi però l’ingegnere palestinese i suoi amici ha potuto vederli solo attraverso skype, perchè non ha ancora ottenuto un permesso, da egiziani e israeliani, per lasciare Gaza, mentre gli scienziati italiani non hanno avuto il via libera per entrare nella Striscia.

La distanza non ha impedito la realizzazione del primo progetto congiunto, al quale ha direttamente lavorato Haitham Ghanem, con un finanziamento di Sunshine4Palestine (S4P) – l’ong messa in piedi da Barbara Capone e Ivan Coluzza – frutto di varie donazioni, tra le prime quella di Vik Utopia Onlus, la Fondazione dedicata a Vittorio Arrigoni, un nome che a Gaza non dimenticheranno mai. Grazie a Sunshine4Palestine, il Jenin Charitable Hospital di Shujayea, dove Ghanem ci ha portato, è diventata la prima struttura pubblica di Gaza alimentata al 100% dall’energia solare. «Un bel risultato – commenta soddisfatto l’ingegnere – abbiamo costruito sul tetto (dell’ospedale) un impianto fotovoltaico, completato lo scorso novembre». Muovendosi con passi veloci all’interno della struttura, Ghanem ci spiega che l’impianto consente all’ospedale, specializzato in ostetricia e ginecologia, di avere energia elettrica dalle 7 alle 24, tutti i giorni dell’anno. Gli accessi al Jenin Hospital nel mese di dicembre, il primo periodo nel quale il sistema fotovoltaico ha funzionato a pieno regime, sono aumentati del 63% rispetto allo stesso mese del 2013. In un anno l’impianto, anche con un funzionamento parziale, ha consentito un aumento del 170% del numero di pazienti. E il 2015 non potrà che vedere crescere questi numeri in un’area, Shujayea, che ha pagato a caro prezzo l’offensiva israeliana di luglio e agosto.

Non è stato facile raccogliere i 100 mila euro necessari per l’acquisto dei pannelli solari, di tutte le componenti dell’impianto e per eseguire i lavori, incluso l’adeguamento del sistema elettrico dell’ospedale. Ma le idee non mancano al gruppo di scienziati «Lo scorso novembre – ci racconta Barbara Capone – abbiamo completato l0’installazione grazie ad un concerto realizzato in collaborazione con Stefano Bollani al Teatro Argentina di Roma. Con i proventi abbiamo provveduto alla fornitura delle batterie che hanno permesso l’accensione di tutti e quattro gli inverters che costituiscono il modulo, portando l’impianto da 4 a 16kWp».

La fame, si sa, vien mangiando e Sunshine4Palestine ha cominciato ad elaborare altri progetti per la fornitura di energia solare, pulita, direttamente alla popolazione di Gaza. «Osserva questa strada», ci dice Haitham Ghanem. Siamo all’ingresso orientale del campo di Shate, dove vivono 80 mila profughi. «Si chiama Via al Qouthi e va avanti per 800 metri fin dentro il campo profughi. Di sera è completamente buia e chi vi abita affronta molti disagi, donne e bambini preferiscono non uscire di casa dopo il tramonto. La illumineremo tutta». S4P, assieme alle associazioni Liter of Light Italia e Oltre il Mare, realizzerà un “Tree of Light” fotovoltaico, composto di 12 pannelli, ognuno dei quali produrrà 300W per un picco totale di produzione di 3.6KWP. Non solo, sarà realizzato un laboratorio polifunzionale per spiegare ai profughi come costruire a uso domestico lampade solari a led con materiali riciclati (tipo le bottiglie di plastica). L’aerea interessata verrà riqualificata e sarà creato anche un parco multi-tematico. «Non ci fermiamo a questo – promette Barbara Capone – Come Sunshine4Palestine proponiamo alternative al progetto di costruire un singolo desalinizzatore a Gaza». Grazie alle nuove tecnologie, come le membrane a grafene, la cosiddetta blue energy (l’estrazione di corrente dallo scambio ionico tra acqua dolce ed acqua salata), S4P progetta la riqualificazione di alcune centrali di desalinizzazione esistenti e la loro conversione in centrali completamente fotovoltaiche. Ognuno di questi centri di desalinizzazione potrà soddisfare i bisogni di una popolazione di 5.000-6.000 persone. «Proponiamo anche – continua la ricercatrice – l’estrazione di acqua dall’umidità dell’aria attraverso sali igroscopici per rendere autonomi ed off-grid edifici come scuole e palazzi. Con i nostri progetti vogliamo piantare i semi per l’uso sistematico del sole, delle risorse pulite di energia a servizio della popolazione, colpita gravemente dalla mancanza di corrente elettrica e dalla scarsità di acqua».

Nuove forze si sono unite a S4P per la realizzazione dei nuovi progetti: Emanuela Bianchi, Peter Van Oostrum, Safaa Ghanem e Patrizia Cecconi. E Barbara Capone e Haitham Ghanem erano stati invitati a spiegare i loro progetti a un importante seminario sui diritti e i bisogni del popolo palestinese delle Nazioni Unite, previsto al Cairo il 23 e il 24 febbraio. Per la prima volta i due colleghi avrebbero potuto incontrarsi di persona e stringersi la mano, oltre ad avere l’occasione per far conoscere il loro lavoro a una platea vasta. All’improvviso le autorità egiziane hanno cambiato idea, comunicando ai numerosi invitati, solo un paio di giorni fa, che preferirebbero posticipare la riunione, a causa di non meglio precisate “ragioni logistiche”. Il repentino passo indietro è misterioso. Qualcuno sussurra che la partecipazione al seminario di palestinesi di Gaza non era stata ben vista al Cairo. Altri che l’Egitto, coinvolto militarmente nella crisi libica, vuole evitare o posticipare eventi che richiedono l’adozione di strette misure di sicurezza.