La Spagna ha rotto molti tabù sui diritti sociali. Fu il secondo stato in Europa, dopo l’Olanda, a legalizzare i matrimoni fra persone dello stesso sesso e a garantire loro la possibilità di avere figli. Politici apertamente omosessuali militano nelle prime file di molti partiti. Hanno fatto coming out giudici, giornalisti famosi, personalità di tutti i tipi. Ma c’è un mondo che sembra ancora impermeabile a tutto a questo. Il mondo dello sport, e del calcio in particolare. Non c’è neanche un giocatore che si sia mai dichiarato gay.
E poi c’è un giovane arbitro di serie C, che viene da un paese andaluso sotto Gibilterra, La Línea de la Concepción, una persona semplice, che ha lasciato la scuola a 14 anni per lavorare, che arbitra da quando ne ha 11 per una manciata di euro a partita, un padre assassinato quando aveva tre anni, una madre che lo ha abbandonato. Mai uscito dal suo paese fino a questi ultimi mesi. Che ha vissuto bullismo da quando era bambino per colpa del suo orientamento sessuale. E che senza paura pubblica sulle sue reti sociali una foto sua e del suo compagno.
Per questo semplice gesto, Jesús Tomillero, 22 anni, si è visto perseguitato, insultato, minacciato. Ed è salito agli onori delle cronache perché, invece di ingoiare l’orgoglio e gli insulti, ha deciso di denunciare. Dopo una partita in cui gli insulti sono stati particolarmente pesanti, da parte di spettatori e di membri delle squadre, ha portato il verbale da lui redatto in tribunale. E ha sporto denuncia. Da quel momento i giornali hanno iniziato a parlare di lui, ha raggiunto 11500 follower su twitter. Ma le minacce e gli insulti sono cresciuti, per alcune settimane la porta di casa sua è stata vigilata dalla polizia in borghese. Il suo caso è diventato motivo per lottare contro l’omofobia nel mondo dello sport. Lo abbiamo incontrato a Barcellona, dove è venuto qualche settimana fa invitato dal Barça ad assistere a una partita contro l’omofobia: «Mi ha invitato direttamente il presidente della squadra, Josep Maria Bartomeu, ci dice Tomillero, sono venuto accompagnato dall’associazione Panteres Grogues («pantere gialle» in catalano, ndr), un’associazione sportiva gay che mi ha appoggiato moltissimo e ha dato a conoscere il mio caso».
Hai potuto parlare coi giocatori? Che ti hanno detto?
Bartomeu mi ha mostrato il suo appoggio. E poi ho parlato un quarto d’ora con il capitano Andrés Iniesta che mi ha spiegato che aveva seguito il caso da vicino, anche se non mi aveva appoggiato pubblicamente. E ha aggiunto: ‘È normale che nessuno di noi faccia coming out, basta vedere quello che è successo a te’. Ma mi aspettavo di più. Ho anche offerto loro la mia immagine gratis se volevano fare una campagna contro l’omofobia nello sport analoga a quelle che si fanno per la sicurezza stradale o contro il razzismo.
Cosa ti sarebbe piaciuto succedesse?
Che si sbilanciassero di più, vedere qualche bandiera arcobaleno allo stadio. Che fosse una partita contro l’omofobia lo sapevano solo noi sul palco, il pubblico no. Che si impegnassero a fare una campagna per sradicare l’odio LGBT-fobico dagli stadi.
A parte Iniesta, qualche altro giocatore ti ha appoggiato?
L’unico che l’ha fatto, con un tweet pubblico, è stato l’ex capitano della nazionale Iker Casilla, dicendo che i cretini sono dappertutto. Poi nessun altro.
Hai paura?
Un po’. Non sai mai se le minacce di morte sono vere o no.
Quante denunce hai sporto finora?
Tre. Nessuna ancora è andata a giudizio, una era stata archiviata ma siamo riusciti a farla riaprire. Spero solo che non finisca con una multa di pochi euro.
Qual è il tuo obiettivo politico?
Assieme a Panteres Grogues e alla FLGBT, la federazione spagnola che raccoglie tutte le associazioni LGBT del paese, stiamo cercando di far approvare una legge analoga a quella che già esiste in Catalogna che difende le persone LGBT dall’odio e dalla discriminazione. E in particolare noi stiamo lavorando sul versante sportivo. La presenteremo presto, molti partiti ci hanno promesso l’appoggio.
Perché pensi sia così difficile per il mondo sportivo prendere posizione?
Forse la paura della reazione dei tifosi, o forse non gli interessa. Pensa che mi hanno invitato in Olanda a una conferenza sull’omofobia nel calcio. Mi hanno invitato gli olandesi. Ci è andata anche la federazione spagnola di calcio, ma loro non mi hanno neppure chiamato. Nel mondo del calcio spagnolo, sono l’unico a essersi esposto.
Tu ti dichiari esplicitamente del Pp. Come mai?
Io sono militante del Pp della Línea perché il Pp mi ha aiutato molto quando avevo 17 anni. Ho avuto una vita difficile, la mia famiglia non mi appoggiava, ho dovuto cambiare molte case. Quando rimasi per strada, un consigliere popolare mi ha aperto le porte di casa sua. Al Pp devo l’appoggio che mi hanno dato. Ma c’è ancora molto lavoro da fare in questo campo, l’ho detto anche a Marotto (astro nascente del Pp, omosessuale, al cui matrimonio ha partecipato tutta la cupola del Pp qualche mese fa, ndr).
Il Pp ne ha fatta di strada. Rajoy appoggiava il ricorso al Tribunale Costituzionale (respinto) contro il matrimonio egualitario, e non era mai stato a un matrimonio gay prima di Marotto.
Il prossimo sarà il mio (ride). Certo che lo invito, ma solo se farà qualcosa di buono per noi.
Che politici ti hanno appoggiato? Ti sei lamentato che la giunta andalusa, in mano socialista, non ti ha ricevuto.
È così, la giunta non ha preso posizione. Mi ha chiamato dopo un po’ di tempo la federazione degli arbitri, ma nient’altro. Invece mi ha ricevuto in comune Ada Colau, per me è stata un’emozione. È notevole che ti chiami la sindaca della seconda città di Spagna. Mi ha appoggiato con un tweet Pablo Iglesias. Ho parlato con tutti i partiti qui in Catalogna, che mi hanno espresso appoggio. Anche la nuova ministra di sanità, catalana, prima di essere nominata ministra, mi aveva detto che mi appoggiava.
Che ti ha detto Colau?
Ha promesso che come comune appoggeranno qualsiasi iniziativa. In particolare, con Panteres Grogues, abbiamo parlato del Pride 2017: sarà dedicato allo sport. A me hanno chiesto di aprirlo con un discorso.
Hai avuto un’infanzia dura, sei stato insultato molto. Ma il calcio ti è sempre piaciuto?
No, non mi piaceva per niente. Decidere di fare l’arbitro è stato per me un modo per uscire dalla routine. Ci ho provato, e alla fine mi è piaciuto. Tanto che ora è diventato la mia vita, è la cosa che mi piace fare più al mondo. Spero di poter tornare a farlo, anche se è difficile perché per questa lotta ho dovuto lasciare uno dei miei due lavori in un pub come cameriere.
Quando è iniziata tutta questa storia?
Quando ho pubblicato sulle reti sociali una foto con David, finalmente una persona con cui mi trovo bene, che mi capisce, che mi sa dare tutto l’affetto che non ho mai avuto. Ci sposeremo l’anno prossimo. Fino a due anni fa non avevo ancora fatto coming out. I problemi c’erano anche prima, ma dopo quella foto sono molto peggiorati ed è iniziato il mio calvario. Con insulti di tutti i tipi: ho pianto e sofferto tanto, mi sono indignato, e da lì scattò la prima denuncia. Sono arrivati a lanciarmi pietre e uova se camminavo mano nella mano con David. Le minacce di morte sono quotidiane: ormai siamo a quota 1500.