Un pontefice non può avere paura. Mentre l’Europa reagisce agli attacchi del terrorismo chiudendosi a doppia mandata, Papa Francesco si apre al mondo e alle sue pericolose contraddizioni con una semplicità disarmante. “Per favore niente porte blindate nella Chiesa, niente, tutto aperto”. Questioni di alta strategia ma non militare e nemmeno di intelligence, piuttosto pensiero di lunga durata formulato non solo per replicare al procurato allarme dei media ansiogeni in vista del Giubileo che ormai è alle porte. Bisogna aprirsi e non chiudersi, questo il messaggio.

Lo ha detto ieri durante l’udienza generale in piazza San Pietro, la prima dopo i massacri di Paragi. Ad ascoltarlo però non c’era una folla numerosa come al solito, erano meno di quindicimila persone in una piazza blindata come in poche altre occasioni. Non molte per questo papa. Tutti prima di varcare il colonnato di piazza San Pietro hanno dovuto sottoporsi a un doppio controllo meticoloso, da parte della polizia italiana e poi della gendarmeria vaticana. La scarsa partecipazione, per il segretario di Stato Vaticano cardinale Pietro Parolin, è una reazione naturale: “Ma dobbiamo pian piano ritornare alla normalità, perché quello che i terroristi vogliono è proprio cambiarci la vita”. Forse oggi ai fedeli preoccupati non basta più sapere che per loro “la porta della misericordia di dio è sempre aperta”.

Papa Francesco ieri ha molto insistito sulla metafora della porta chiusa o aperta e non si riferiva all’apertura della prima porta santa si San Pietro che avverrà il prossimo 8 dicembre alle 9,30. “La chiesa – ha detto – è la portinaia della casa del Signore, la portinaia, non è la padrona della casa del Signore”. Più volte ha chiesto per favore. “Ci sono posti nel mondo dove non si chiudono le porte a chiave, ancora ci sono, ma ce ne sono tanti dove le porte blindate sono diventate normali, non dobbiamo arrenderci all’idea che dobbiamo applicare questo sistema, sarebbe terribile una chiesa inospitale così come una famiglia ripiegata su se stessa”.

La predica papale, oltre a suggerire un atteggiamento opposto a quello che sembra prevalere tra i potenti del mondo, getta uno sguardo anche sul tema dei “passaggi delle frontiere” che “è diventato cruciale”. Porte che sono già state chiuse prima del massacro di Parigi. “La porta deve custodire ma non per respingere, non deve essere forzata, al contrario si chiede permesso perché la libertà si oscura nella prepotenza dell’invasione, la porta si apre frequentemente per vedere se fuori c’è qualcuno che aspetta e magari non ha il coraggio, forse neppure la forza di bussare. Quanta gente ha perso la fiducia, non ha il coraggio di bussare alla porta del nostro cuore cristiano, alle porte delle nostre chiese, non hanno il coraggio, gli abbiamo tolto la fiducia, per favore questo non accada mai”. L’invito “in questi tempi difficili” è ad “avere coraggio” e ad “andare incontro agli altri”.

Ad occuparsi di cose più terrene in vista dell’anno santo ieri è intervenuto anche il presidente del Consiglio Matteo Renzi. Modi come al solito risoluti e qualche battutina per dire che “non esiste proprio” rinunciare al Giubileo per il pericolo terrorista. “Il Papa è il Papa, è un obiettivo sempre e non è che finito il Giubileo va ad Avignone come sette secoli fa. Siamo orgogliosi che Roma ospiti il Vaticano, siamo grati a Papa Francesco anche per l’azione estera, a partire dal ruolo molto importante che ha avuto su Cuba”. Suggestione caraibica fuori contesto, ma parole di buon senso.