«Tutti, con la guerra, sono perdenti, anche i vincitori». Si è conclusa con una severa condanna della guerra, sottoscritta dai leader religiosi di tutto il mondo, la Giornata mondiale di preghiera per la pace che si è svolta ieri ad Assisi, a conclusione di un meeting di tre giorni promosso dalla Comunità di Sant’Egidio e dai francescani.

Cristiani, ebrei, musulmani, induisti, buddhisti (ma non c’era il Dalai Lama, non invitato evidentemente per non turbare il percorso di riavvicinamento fra Santa Sede e Pechino), oltre 500 rappresentanti delle diverse religioni del mondo si sono ritrovati trent’anni dopo il primo incontro convocato sempre ad Assisi da Giovanni Paolo II nel 1986, quando il mondo era diviso in due blocchi, e papa Wojtyla voleva issare più in alto di tutti il vessillo della pace, anche in funzione anticomunista.

Oggi la guerra fredda non c’è più, ma c’è una «terza guerra mondiale a pezzi», come papa Francesco ha più volte chiamato l’insieme dei conflitti che devastano il mondo. E allora le religioni, sostiene il pontefice, possono collaborare per la pace, perché «mai il nome di Dio può giustificare la guerra, solo la pace è santa e non la guerra», condannando implicitamente secoli di «guerre sante» fatte pretendendo di avere Dio – anche e soprattutto il Dio dei cristiani – dalla propria parte («dobbiamo essere capaci fare autocritica», ha detto nel suo intervento finale il patriarca ecumenico ortodosso di Costantinopoli, Bartolomeo).

La guerra, più che il terrorismo. Non perché il terrorismo non vada condannato, ma perché la guerra è molto più grave. «Ci spaventiamo per qualche atto di terrorismo», ma «questo non ha niente a che fare con quello che succede in quei Paesi, in quelle terre dove giorno e notte le bombe cadono e cadono» e «uccidono bambini, anziani, uomini, donne», ai quasi «non può arrivare l’aiuto umanitario per mangiare, non possono arrivare le medicine, perché le bombe lo impediscono», ha detto Bergoglio durante la messa mattutina a Santa Marta, prima di lasciare il Vaticano per Assisi, dove è arrivato poco dopo le 11. Al convento della basilica di San Francesco ad attenderlo c’erano Bartolomeo, il primate anglicano Justin Welby, il patriarca siro ortodosso di Antiochia Ignatius Aphrem II, il rabbino capo della comunità ebraica di Roma Riccardo Di Segni, il vicepresidente dell’università islamica di Al Azhar Abbas Shuman e gli altri leader religiosi. Pranzo nel refettorio del convento, a cui hanno partecipato anche 12 rifugiati provenienti da zone di guerra.

Nel pomeriggio i rappresentanti delle fedi si sono riuniti in preghiera in luoghi separati, anche per allontanare quelle accuse di «sincretismo» e di «relativismo» rivolte dai settori cattolici più conservatori a papa Francesco – e trent’anni fa a Wojtyla – ma anche agli altri leader religiosi, perché gli integralisti non sono un’esclusiva di nessuno.

I cristiani (cattolici, ortodossi, luterani e anglicani) si sono ritrovati nella basilica inferiore di San Francesco. «Le vittime delle guerre implorano pace», ha detto il papa, «implorano pace i nostri fratelli e sorelle che vivono sotto la minaccia dei bombardamenti o sono costretti a lasciare casa e a migrare verso l’ignoto», ma «incontrano troppe volte il silenzio assordante dell’indifferenza, l’egoismo di chi è infastidito, la freddezza di chi spegne il loro grido di aiuto con la facilità con cui cambia un canale in televisione». Quindi una lunga preghiera per 27 territori dilaniati dai conflitti: dall’Afghanistan al Congo, dall’Iraq alla Libia, dal Sud Sudan allo Yemen, la Palestina, la Siria.
Tutti insieme poi – vescovi, patriarchi, pastori, rabbini, imam e tutti gli altri – in piazza San Francesco per i messaggi conclusivi. «Non ci può essere pace senza giustizia, una rinnovata economia mondiale attenta ai bisogni dei più poveri» e la «salvaguardia dell’ambiente», ha detto Bartolomeo. «La storia ci ha mostrato che la pace conseguita con la forza sarà rovesciata con la forza», ha ammonito Morikawa Tendaizasu, leader del buddhismo Tendai. «L’islam è una religione di pace, oggi ci sono gruppi che usano il nome dell’islam per perpetrare azioni violente, è responsabilità di noi musulmani mostrare il vero volto della nostra fede», ha esortato il presidente del Consiglio degli Ulema indonesiani Din Syamsuddin. La pace «non può scaturire dai deserti dell’orgoglio e degli interessi di parte, dalle terre aride del guadagno a ogni costo e del commercio delle armi», dalle «chiusure che non sono strategie di sicurezza ma ponti sul vuoto», ha detto papa Francesco.

Infine l’appello conclusivo, sottoscritto dai leader religiosi e inviato agli ambasciatori di tutto il mondo. «Imploriamo i responsabili delle Nazioni perché siano disinnescati i moventi delle guerre: l’avidità di potere e denaro, la cupidigia di chi commercia armi, gli interessi di parte, le vendette per il passato. Aumenti l’impegno concreto per rimuovere le cause soggiacenti ai conflitti: le situazioni di povertà, ingiustizia e disuguaglianza, lo sfruttamento e il disprezzo della vita umana».