L’esito della votazione era scontato e il tono del dibattito pure, perché una volta tanto anche al consiglio regionale della Lombardia erano quasi tutti d’accordo, ma il capogruppo della Lega nord Massimiliano Romeo in un eccesso di onestà intellettuale ieri ha rotto l’incantesimo rivelandosi per quello che è (un uomo… tanto per cominciare). La regione del governatore Bobo Maroni, che in questi giorni si sta battendo come un leone perché “il rock and roll diventi patrimonio dell’umanità” (ne parlerà all’Unesco), ieri stava discutendo l’approvazione delle nuove norme che garantiranno la parità di genere per almeno un terzo dei rappresentanti nei Cda delle società regionali; doveroso ma niente di rivoluzionario, visto che la legge regionale in discussione (approvata dopo la bagarre) non fa altro che trasporre in Lombardia una legge dello stato già in vigore dal 2011. Quando la parola, come impone la democrazia, è passata al nostro uomo.

“La disparità di genere nei Cda – ha argomentato sfiorando le vette del pensiero maschile tardo aziendalista – non dipende dalla discriminazione, ma dal fatto che spesso gli uomini rispondono sì, mentre molte donne preferiscono restare a casa ed occuparsi dei figli”. Per chi non l’avesse capito (comprese le sue colleghe leghiste), Massimiliano Romeo ha precisato anche che “gli stipendi degli uomini sono più alti perché fanno più straordinari, le donne invece preferiscono stare a casa con i figli, diciamo le cose come stanno, per esempio mia moglie è una che preferisce stare a casa”. Sua moglie, la pietra angolare della legislazione lombarda.

La chiosa del capogruppo leghista ha scatenato le proteste della consigliera del Movimento Cinque Stelle Silvana Carcano – “mentalità maschilista da medioevo” – e di tutte le opposizioni al gran completo, tanto che il presidente del Consiglio regionale è stato costretto a sospendere la seduta. Alla ripresa dei lavori, nel pomeriggio, le donne del M5S (Iolanda Nanni, Paola Macchi e Carcano) hanno steso un filo davanti al banco dell’uomo Romeo facendo finta di stendere i panni. Il poveretto alla fine è stato costretto a precisare meglio il suo pensiero, dev’essere che non tutte le sue colleghe leghiste la pensano come la moglie: “Se una donna preferisce occuparsi dei figli anziché restare al lavoro a fare straordinari, non si deve parlare di colpa ma di libera scelta, una scelta che va apprezzata e rispettata, non certo strumentalizzata a fini politici. Una mamma ha pari dignità di una manager”. Troppa grazia, deve essersi spiegato male.

Chiara Cremonesi, consigliera regionale di Sel, per quanto possa servire, ha cercato di spiegare a Romeo che lavorare meno ed essere pagate meno non è una libera scelta delle donne. “Ogni giorno – si legge in una nota – devono combattere con l’insufficienza di politiche per la conciliazione mentre per il loro lavoro vengono pagate 0,47 centesimi per ogni euro guadagnato da un uomo. E nella maggior parte dei casi si fanno pure carico della famiglia e della gestione della casa”.

Il provvedimento, nonostante la seduta movimentata, è passato quasi all’unanimità. Per Sara Valmaggi (Pd), vicepresidente del Consiglio regionale e prima firmataria della legge, la Lombardia ha fatto un passo in avanti “perché introduce un concetto di democrazia paritaria” e la provocazione di Romeo dimostra “che c’è ancora molta strada da fare per superare una concezione delle donne maschilista e retrograda”. Si felicitano anche le consigliere del M5S ma non senza smarcarsi dagli altri partiti “che riescono a garantire rappresentatività femminile solo se obbligati da una legge”. Che comunque, dicono, rimane un palliativo: “Una vera parità passa, prima di tutto, dal fornire alle donne non tanto quote rose da riserva indiana ma piuttosto strumenti di welfare a sostegno della famiglia di cui le donne italiane si fanno interamente carico nei fatti, cosa che in Italia, a differenza di molti paesi europei, stenta ad avvenire”.