La misura dello zero, seconda raccolta poetica di Bruno Galluccio (pp. 138, euro 12,50, Einaudi), è un libro avvolto nella polvere della materia dove le cose hanno una precisa nominazione, il tempo e lo spazio una loro definizione matematica e la vita, chiusa nella sua parentesi temporale, si riflette in teoremi e leggi della fisica seguendo un processo di ricerca che non arriverà mai a conclusione.
La naturale attitudine a rappresentare il mondo con la tensione emotiva del poeta e con la precisione dello scienziato è qualcosa di cui l’autore di questo libro aveva già dato testimonianza nella sua opera d’esordio, Verticali uscito nel 2009. Laureato in fisica, Galluccio ha svolto la sua attività lavorativa in un’azienda che si occupa di telecomunicazioni e sistemi spaziali, ma intanto scriveva poesie pubblicandole su riviste e ricevendo segnalazioni di merito in alcuni premi letterari. La realtà della vita e quella della scienza sono nel poeta-fisico due versioni di uno stesso linguaggio, avanzano parallele e apparentemente indipendenti sia in Verticali che ne La misura dello zero.

Ciò che le accomuna è la bellezza della scoperta e lo stupore che questa suscita in un corpo desiderante e in una mente che assorbe nuova conoscenza. Il corpo si esercita nell’esistenza giorno dopo giorno e la mente elabora pensiero cercando risposte; sono le due parti dello stesso soggetto-uomo che percorre il suo tratto di storia in spazi di chiarezza e in luoghi oscuri, subendo l’alternanza di conflitti sentimentali o concettuali, avvicinando certezze e dubbi, astrazione e dolore, sempre curioso di concetti come infinito e eternità da esprimere, in quanto matematico, con un’equazione e come poeta in un verso. C’è forse una sfida nell’opera di Galluccio, un bisogno di riscatto e, allo stesso tempo, una presa di coscienza della propria unicità di poeta che sfida l’enigma della materia oscura e la gravità del corpo in virtù di un sapere più alto che non è sapienza metafisica ma frutto dell’intelligenza della parola. Questa tensione verso il «significato» è la metafisica di Galluccio, uno sguardo che va dritto alla «terra delle parole» anche quando osserva le stelle, cercando di penetrare il cosmo.

La misura del suo verso – soprattutto in alcune sezioni del libro – è frazionata in linee spezzate che occupano lo spazio della pagina come frammenti di materia nall’espansione del bianco-vuoto. In un testo poetico, la linea di scrittura produce sempre un improvviso scarto nella cesura del verso ma qui l’impressione è più forte perché la frase ha una densità «fisica» particolare; si compone di «magma cosmico portatore di massa», «si raggruma in un nuovo bosone», «la verità terrestre/si pende verso una lattea cecità» e «il big bang risplende sulle equazioni/come lo zero singolare». Questa è la lingua con cui il poeta, come ci ricorda Celan, si orienta e si dà una prospettiva di realtà.

Ci sono due sezioni all’interno della raccolta, segnate dai titoli transizioni e curvature – permane l’ambiguità metaforica del linguaggio scientifico- in cui Galluccio si raccoglie nella sua memoria e in pensieri che, scavando nel tempo presente, portano alla luce un senso della realtà per sovrapposizione di stati – per tornare alla fisica -, o con riflessioni che si rovesciano in stati confusionali e sviste emotive: «sognava di stare lontana e divenire pioggia», «bambini fortunati che possono/ricordare di essere stati adulti».

In queste sezioni la voce si distende, senza perdere il contatto con l’amalgama dei luoghi temporali e fisici nei quali si muove la vita dell’uomo e dello scienziato, le frasi procedono non per approssimazioni ma per segmenti netti che si contraggono e si deformano come il tempo, avanzando o retrocedendo su quei «fazzoletti separati di tempo» che sono mappe «sulla geografia dell’esistenza».
La misura dello zero è un libro importante che richiede un particolare impegno nella lettura. È uno di quei libri che sono al tempo stesso spigolosi e «innamorati» del lettore al quale non concedono niente in favore del canto, per attraversargli corpo e cervello con una ferita di luce e una confusione di stelle.