Un gruppo trasversale di economisti e giuristi ha depositato in Cassazione una proposta di referendum per modificare la riforma costituzionale che ha introdotto il pareggio di bilancio nella Costituzione italiana nel 2012.

«Stop austerità, referendum contro il Fiscal Compact» è il nome scelto dal comitato referendario composto, tra gli altri, da Mario Baldassarri già parlamentare Pdl e vice ministro dell’economia, dal decano degli scienziati delle finanze Antonio Pedone, dallo statistico Nicola Piepoli, da uno dei segretari generali della Cgil Danilo Barbi, oltre che da Riccardo Realfonzo, ordinario di economia a Benevento e fondatore della rivista online Economia e politica.

 

L'economista Riccardo Realfonzo
L’economista Riccardo Realfonzo

«Vogliamo raccogliere il massimo di adesioni tra le forze sociali e politiche – spiega Realfonzo – Perché il referendum si svolga nel 2015 occorrerà trovare 500 mila firme entro fine settembre. Contiamo moltissimo sul sostegno della Cgil e di tutte le forze sociali e politiche che continuano a sottolineare i danni dell’austerity. Adesso hanno una buona occasione per passare dalle chiacchiere ai fatti. Con il referendum i cittadini potranno favorire l’abbandono di un approccio neoliberista e restrittivo in economia che sta mettendo a rischio il progetto dell’Unione Europea».

I quattro quesiti presentatirispettano i limiti di ammissibilità?
Per rendere solida la proposta i costituzionalisti che hanno lavorato ai quesiti, Giacomo Salerno e Paolo De Ioanna, li hanno concentrati sulla legge 243 del 2012, cioè la legge ordinaria con la quale è stata applicata la riforma costituzionale scaturita dalla legge costituzionale numero 1 del 2012. I quesiti riguardano le disposizioni di legge non coperte da principi costituzionali né da obblighi derivanti dall’Unione europea o da impegni assunti con trattati internazionali. Senza alcun dibattito pubblico, il parlamento si è impegnato ad applicare misure economiche che tecnicamente non possono essere rispettati. Ha accettato il principio del pareggio strutturale del bilancio e l’idea di abbattere il debito pubblico al 60% del Pil in 20 anni. Ma questa linea di politica economica prolungherebbe la recessione con effetti gravissimi.

Quali?
Rispondendo alla crisi con le politiche di austerità, l’Eurozona conta oggi oltre 7 milioni di disoccupati in più rispetto alla fine del 2007 e il Pil resta ancora inferiore ad allora. In Italia la disoccupazione è più che raddoppiata in questi anni. Da 1,5 milioni siamo arrivati a circa 3,2 milioni di disoccupati, mentre il valore del Pil è di 8 punti percentuali inferiore al 2007. Vorrei sottolineare che negli Usa il presidente Obama ha fatto l’esatto opposto, mettendo in campo una manovra espansiva da 800 miliardi di dollari per opere pubbliche, sussidi di disoccupazione e incentivi alle imprese. Misure che hanno reso la crisi un lontano ricordo.

In uno studio su economiaepolitica.it lei sostiene che il governo non affronta i nodi di questa situazione. Perché?
Nel Def presentato ad aprile il governo continua a muoversi nei vincoli del fiscal compact, nonostante le positive dichiarazioni iniziali del presidente Renzi. Rispetta cioè l’equilibrio strutturale di bilancio e si impegna nell’abbattimento del debito verso il limite del 60%. Purtroppo, si continua a ritenere possibile coniugare la crescita con l’austerità. Il governo propone un percorso che porterà nel 2018 ad un avanzo primario, cioè la differenza tra entrate fiscali e spesa pubblica di scopo, al 5% del Pil. E, contemporaneamente, ritiene che nello stesso anno l’economia potrà crescere di circa il 2% in termini reali. Ma è ormai provato che è impossibile coniugare avanzi primari dell’ordine di circa 90 miliardi di euro con una crescita economica.

Anche perchè quest’anno la crescita sarà più bassa dello 0,8% annunciato dal governo.
Le prospettive di crescita per il 2008 del Def apparivano già ottimistiche prima della constatazione che nei primi 3 mesi del 2014 il Pil ha continuato a calare, raggiungendo meno 0,1%. In effetti, anche le previsioni del Fmi e della Commissione Ue, che prevedono per l’Italia una crescita dello 0,6%, appaiono oggi ottimistiche. Con il quadro delle regole attuali, il governo potrebbe essere costretto a fare entro fine anno una manovra aggiuntiva di oltre mezzo punto di Pil.

Il governo ha scambiato fischi per fiaschi nel Def?
Dobbiamo desumere che Padoan creda ancora che le politiche dell’austerità espansiva possano funzionare. Ho scritto più volte che occorreva andare oltre il vincolo sul deficit al 3%.

Renzi ritiene di potere modificare i dogmi dell’austerità nel semestre europeo. È attendibile?
Anche grazie alla spinta referendaria sul Fiscal Compact ci auguriamo che si possa davvero avviare un cambiamento a partire dal semestre italiano. Se questo non avverrà, le politiche di austerità metteranno ancora più a rischio la tenuta dell’Eurozona e la stessa fiducia che Renzi ha saputo raccogliere alle europee verrebbe messa a dura prova. Il fatto è che bisogna spingere l’Italia fuori dalla crisi, ma questo non si può farlo rispettando i vincoli europei. L’augurio è che Renzi voglia e possa trovare la forza politica per imprimere un cambiamento, che andrebbe a beneficio non solo dell’Italia, ma dell’intera Eurozona.

Invita anche Renzi a votare per il referendum?

Sarebbe auspicabile.