Una corona di fiori in laguna: alle 17 davanti alla stazione di Santa Lucia si danno appuntamento non solo i profughi per una cerimonia analoga a quella di una decina di giorni fa sull’argine di Rottanova a Cavarzere, in ricordo di Sandrine Bakayoko, 25 anni, morta nell’ex base militare di Conetta. «Caro Pateh, amico nostro fragile, il salvagente dei diritti, dell’accoglienza degna, calorosa e semplicemente umana ti è stato lanciato tardi, o male, o chissà» recita l’invito a partecipare, subito raccolto da Gianfranco Bettin presidente della municipalità di Marghera.

Pateh Sabally, 22 anni, è annegato domenica pomeriggio in Canal Grande. Con una lunga scia di polemiche, innescate dal video che documenta l’episodio in cui si sentono distintamente commenti offensivi all’indirizzo del giovane africano con la testa a pelo d’acqua. Immagini e sonoro che sono poi rimbalzati dai siti d’informazione ai social network, moltiplicando come sempre il «dibattito virtuale» fra opposte fazioni.
Resta il fatto incontrovertibile che la letteraria iconografia della «morte a Venezia» è stata spodestata dal più che simbolico ultimo scampolo di vita di un migrante africano. Pateh Sabally aveva scelto di scappare dal villaggio nella regione di Wellingara: insieme al cugino Muhammed contava di rifarsi una vita in Europa. È sbarcato in Sicilia, dichiarando l’anno di nascita senza poter dare la data precisa. Così nei documenti, come da convenzione, risulta quella del 1 gennaio 1995.

Sabato scorso è partito, in treno, da Milano: sembra che non gli fosse stato rinnovato il permesso di soggiorno. Per un giorno avrebbe girovagato senza mèta a Venezia. Domenica la decisione di farla finita con un gesto disperato quanto clamoroso. Si alza dai gradini della scalinata, cammina verso la riva, prende lo slancio e si getta a corpo morto nel Canal Grande.

Un gesto senza appello: tant’è che Pateh decide, in acqua, di sfilarsi il giubbotto prima di lasciarsi trascinare a fondo. Però torna a galla, mentre è già scattato l’allarme. E vengono lanciati quattro salvagenti dal marinaio e dai passeggeri a bordo della «linea 2»: il vaporetto ha invertito la marcia proprio per garantire le manovre di soccorso. Tuttavia Pateh resta immobile, non allunga le mani e viene definitivamente inghiottito. Il corpo verrà recuperato dai sommozzatori sul fondo del Canal Grande.

Pateh ha abbandonato lo zaino: pochi euro, il biglietto ferroviario, qualche effetto personale. Ci sono anche il passaporto e la carta d’identità, che era stata rilasciata nel 2015 dal Comune di Pozzallo (Ragusa). Tutto agli atti del fascicolo della Procura, aperto dal pubblico ministero Massimo Michelozzi. Ha avuto subito a disposizione cinque filmati: le immagini della telecamera fissa dell’Actv più quelle riprese con i cellulari. C’è chi insulta o sbeffeggia Pateh anche chiamandolo «Africa», mentre davanti all’imbarcadero e alla scalinata della stazione una piccola folla assiste alla scena.

Non sono mancate in questi giorni nemmeno le critiche sul mancato salvataggio di Pateh. Dal punto di vista squisitamente giudiziario, nessuna violazione da parte dei dipendenti dell’azienda di trasporto veneziana. Il regolamento dell’Actv impone, infatti, solo l’obbligo di lanciare in acqua i salvagente e non quello di tuffarsi. E il freddo ha, forse, sconsigliato anche tutti gli altri – a bordo del vaporetto o sulla riva – di sfidare l’acqua in cui stava annegando il giovane africano.