La Cina e il presidente della Repubblica popolare cinese Xi Jinping si sono congratulati con il nuovo inqulino della Casa bianca Donald Trump, auspicandosi che i rapporti tra i due paesi possano essere positivi, tanto per Cina e Usa, quanto per il resto del mondo.

Dietro questa liturgia consueta, si nascondono interrogativi e riflessioni molto importanti da parte di Pechino e non solo.

LA POSIZIONE DI TRUMP sull’Asia, infatti, è articolata e non è semplicemente riassumibile nelle previste tattiche isolazioniste del nuovo presidente americano.

L’ordine del ragionamento è di due tipi: Pechino riflette innanzitutto sui vantaggi o gli svantaggi che potrebbero derivare dalla presidenza Trump, tenendo conto del tracollo democratico, dal punto di vista interno, degli Stati uniti. In questo senso si confermano i dubbi che Pechino ha nei confronti delle democrazie occidentali.

LA VITTORIA DEL TYCOON confermerebbe quelle posizioni cinesi che criticano l’elitismo di media e società civile americana. Ora che Trump ha sconquassato il panorama politico, c’è da credere che – almeno da questo punto di vista – Pechino abbia un minimo di soddisfazione.

Ma naturalmente queste considerazioni non bastano a fare stare tranquilli i funzionari del Partito comunista. Trump, infatti, è un’incognita e come tale non gode della massima fiducia da parte della leadership cinese.

Pechino, però, ha sempre dimostrato di sapere dialogare con qualunque capo di stato e regime e dunque non esiterà a trovare un canale di dialogo anche con l’amministrazione Trump.

SOLO A QUEL PUNTO si potranno capire le reali intenzioni del nuovo presidente americano e in che modo Pechino troverà un interlocutore con uno stile più o meno diverso da quello che avrebbe contraddistinto Hillary.

Ci sono dei ragionamenti in corso: come confermato da una fonte interna al team dei consiglieri di Trump, il miliardario punta e non poco sull’Asia, soprattutto dal punto di vista dell’ampliamento della disponibilità navale.

ALLA FACCIA DELLA PAVENTATA politica isolazionista, Trump ha ben presente l’importanza dell’area del Pacifico per le tratte commerciali americane e pare intenzionato a difenderle.

A questo proposito di sicuro a Pechino hanno letto tanto il documento Republican Platform on Asia, quanto l’articolo apparso alla vigilia delle elezioni su Foreign Policy da parte di due advisor di Trump, Alexander Gray e Peter Navarro, nel quale si espongono le linee di politica estera del tycoon con un chiaro riferimento all’Asia.

In primo luogo, è scritto, «Trump non sacrificherà mai gli interessi nazionali americani, per interessi di politica internazionale»; ovvero, Trump non rifarebbe mai l’errore di consentire l’ingresso nel Wto alla Cina.

In secondo luogo, «Trump perseguirà una politica estera nella quale la strategia pacifica deve derivare dalla forza», come valeva per Reagan.

Quindi la Marina militare avrà uno scopo preciso: difendere i 5 mila miliardi di dollari che entrano nelle casse Usa dal traffico marittimo asiatico.

PER PECHINO questa non è una buonissima notizia. L’idea iniziale era la seguente: una presidenza Trump si pensava avrebbe portato molti paesi asiatici a preferire una sorta di protezione sicura, benché sgradita, ovvero quella cinese, di fronte all’imprevedibilità di Trump.

Ma più passano le ore più appare chiaro che, in fondo, tutta questa imprevedibilità Trump potrebbe non averla.

Rimane aperto – infine – il discorso più specificamente commerciale: Trump si è espresso più volte contro le esportazioni cinesi, minacciando dazi e manovre clamorose.

Si tratta di un punto molto delicato, sul quale ad ora Pechino non si è espressa. Del resto i leader comunisti sanno che almeno fino a 2017 inoltrato, niente cambierà. Sarà tutto tempo utile per cercare di capire quale tipo di America si troveranno di fronte.