Uno strano paradosso sembra verificarsi nell’epoca attuale. A dispetto dell’accelerazione globale di tanti fattori, si ha una scarsa percezione dell’accadere. Semmai l’arte possa considerarsi, anche, una forma di dialettica con la quale fronteggiare la vita, l’opera di Penone è qui a ribattere che, sebbene lentamente, le cose accadono. Tra i molteplici punti di vista dai quali osservare il lavoro di questo artista al traguardo dei settanta anni, uno dei più noti della scena internazionale, vi è quello di leggere le sue sculture come l’espressione di un accadimento.

A posteriori, l’accadimento può essere considerato in una gamma infinita di modi, ma per Penone una sola è la dinamica che lo può generare: quella del contatto.

L’assunto è verificabile anche in tutte le sue opere attualmente esposte nel giardino del Rijksmueum di Amsterdam in una mostra a cura di Alfred Pacquement aperta fino al 2 ottobre e accompagnata da un catalogo a cura di Frits Scholten. Intorno all’edificio del museo che l’architetto Petrus Cuypers progettò nella seconda metà dell’Ottocento secondo i dettami del revival neogotico, tra piante ad alto fusto, carré e aiuole in fiore, Penone ha disposto nove alberi di bronzo, una grande scultura in marmo appartenente alla serie delle Anatomie, le opere storiche Respirare l’ombra e Gesti vegetali e due lavori recenti intitolati Indistinti confini. Altre opere sono esposte negli atri spaziosi restituiti al museo dalla recente ristrutturazione a opera dello studio di architettura spagnolo Cruz y Ortiz. L’intera esposizione può essere visitata gratuitamente. Tra le opere esposte, Biforcazione è il primo degli alberi in bronzo realizzati da Penone e risale al 1991. È un tronco lungo oltre dieci metri, riverso a terra, come se fosse stato reciso. Qualche ramo si biforca dal corpo centrale. Non ha foglie. L’opera sembra concepita nel solco della tradizione scultorea destinata a celebrare ciò che non è più: la vita dell’albero riversa nel tronco senza foglie e sradicato. Ma lungo il tronco, se lo si osserva con attenzione, si nota l’impronta di una mano. Un’impronta che scavando nella materia ha segnato una biforcazione e scoperto una sorgente. Nell’insieme del lavoro, questo particolare dell’impronta e dell’acqua che ne stilla, è, forse, solo un indizio. Il cuore dell’opera, cui l’indizio stesso spinge ad arrivare, sta nel processo di lavorazione. Ossia nel calco ottenuto facendo aderire alla corteccia di un albero un altro materiale. Da questo incontro è nata la scultura, così come dal contatto della mano con il tronco sgorga l’acqua. La breccia da cui l’acqua goccia ricorda la ferita epifanica di cui scrisse Georges Bataille convertendo gli orrori della guerra nell’idea di una lacerazione che predispone alla comunicazione.

Ma le sculture di Penone, sebbene accostabili al pensiero di Bataille, non suggeriscono alcun tragico logoramento. Sono sempre governate, al contrario, da una logica naturale, di conseguenza sono misurate. Persino quando si accostano, per proporzioni o per immagine, al sublime, come nel caso della più recente tra le opere esposte al Rijksmuseum, Vene di pietra tra i rami del 2015. Stavolta la base del tronco è affondata nella terra, come in una pianta viva, e il fusto con i suoi rami svetta verso il cielo. Quasi dieci metri di altezza, a metà circa della quale, un enorme parallelepipedo di granito è bloccato a mezz’aria, trattenuto da un’ansa del tronco. Un’immagine poderosa che si spiega con la dinamica elementare del contatto. Come accade agli oggetti che si impigliano ai rami degli alberi nei giorni di vento, alle foglie che si accumulano nell’incavo delle biforcazioni o, per traslato, agli individui quando l’attenzione di un altro conferisce loro spessore, o ai pensieri che diventano tali quando sono catturati dal cervello che frena il dissolversi delle sensazioni.

Il contatto modifica le cose, definisce nuove forme e identità. Opera mutazioni, talvolta verificabili nel tempo lungo che serve a una pianta per crescere, come dicono gli arbusti che avvolgono le silhouette di bronzo nelle opere di Penone intitolate Gesti vegetali o l’albero che nasce dalle radici del bronzeo tronco capovolto in un altro dei lavori esposti ad Amsterdam, Le foglie delle radici. Opera, questa, tra le più struggenti della mostra, dove il monumento plasmato dalle mani dell’uomo sul modello della natura e consacrato alla caduta, l’albero di bronzo capovolto, risorge in un esile arbusto. L’alberello, simile a un pollone, spunta da quelle stesse radici che impudiche e orgogliose mostrano al cielo la propria rovina e la propria progenie. Altre opere di Penone rilevano il mutamento che si protrae lungo le ere geologiche, come in Anatomia, dove l’autore ha scavato intorno alle vene del marmo, dando rilievo a quelle che sono, in realtà, tracce delle stratificazioni millenarie della materia. La capacità di percepire i mutamenti che si verificano in un così lungo lasso di tempo, sembra aver dato a Penone la consapevolezza dell’affinità di tutte le cose, perché con il suo lavoro si impegna a svelare le somiglianze della materia che la scienza cataloga nei regni distinti dell’animale, vegetale e minerale.

Le vene marmoree di Anatomia, somigliano ai solchi della pelle tracciati nel monumentale Giano, i due grandi quadri sospesi nel vuoto di uno dei due atri del Rijksmuseum, accoppiati uno di spalle all’altro: Pelle di grafite, con l’ingrandimento disegnato a grafite dell’impronta della pelle della fronte dell’autore e Spine d’acacia, con l’ingrandimento, anch’esso, di una porzione di pelle, ma ottenuto, diversamente, con un mosaico di spine d’acacia. Solchi della pelle e vene del marmo sono affini ai tracciati che segnano la corteccia degli alberi. In Vene di pietra tra i rami il colore del masso di granito è lo stesso dell’albero di bronzo, tanto da sembrare, il masso e l’albero, fatti della stessa materia. Nel giardino del museo, la patina dei bronzi si mimetizza perfettamente con la gamma dei colori predominanti nella vegetazione, anche in virtù del processo di ossidazione generato dagli agenti atmosferici sulla superficie del metallo.

A giugno scorso si era conclusa al Mart di Rovereto una mostra di Giuseppe Penone significativamente intitolata Scultura e tutta dedicata a quel processo che l’autore chiama talvolta di «fossilizzazione». Come un fossile rende duratura la forma assunta da un organismo in un determinato momento della sua esistenza, così la scultura di Penone trasforma l’accadere, ossia il momento di contatto tra le cose, in una espressione solida – verificabile con la vista, il tatto, talvolta persino con l’olfatto – e sufficientemente immutabile per essere condivisa da persone diverse e da generazioni diverse. Nei grandi spazi che Gianfranco Maraniello, direttore del museo e curatore della mostra, ha felicemente restituito al Mart rimuovendo le pareti mobili del secondo piano, le sculture formavano un itinerario mirato a verificare i modi diversi con i quali Penone, dal suo esordio nel 1968 a oggi, ha «fossilizzato» i gesti. Siano essi volontari o involontari, nati dall’incontro di materie diverse, animate o inanimate. Dalla mano che stringe il tronco di un giovane albero il quale crescerà tranne che in quel punto (Alpi Marittime, 1968), alle impronte del vasaio le cui esili tracce in forma di microsolchi impressi prima della cottura sulla parete esterna di un vaso antico, sono tradotte, attraverso la pratica del calco, in plastiche forme di bronzo (Vaso, 1975). Dalla forma impressa in un cumulo di foglie dal corpo di Penone e dal suo soffio (Soffio di foglie, 1978), alle foglie che sfregate su una tela poggiata sopra un tronco restituiscono le fattezze e il colore dell’albero (Le radici del verde del bosco, 1987). Queste opere, insieme alle altre esposte a Rovereto e a tutte le altre realizzate da Penone in cinquanta anni di lavoro, finiscono con il suggerire la possibilità di interpretare l’intero esistente e la sua storia secondo le dinamiche del contatto. Cercando di capire, in ogni fenomeno o vicenda, cosa in esso muti ritraendosi o, al contrario, espandendosi, ragionando nei termini di duttilità o rigidità, incontro o scontro, impressione o pressione, accogliere o respingere. Convincendosi, definitivamente, che materie ed esseri possono reagire al contatto in milioni di modi diversi, ma non sottrarsi a esso, e che i muri, tristemente tornati d’attualità, non potranno sollevare niente e nessuno dalla propria responsabilità o dal proprio destino