Il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi ha emesso un decreto anti-terrorismo senza precedenti. La legge, approvata in assenza di un parlamento (le Camere sono state sciolte nel 2012), definisce i parametri per stabilire chi appartiene o no a un’organizzazione terroristica. Non solo, la norma delinea i procedimenti giuridici necessari per definire un gruppo o un individuo come affiliato al terrorismo. Possono essere gruppi terroristici «associazioni, organizzazioni o collettivi» che cercano di danneggiare i cittadini in Egitto e all’estero, insieme a chiunque si opponga alle leggi e alle istituzioni dello Stato. È terrorista poi chiunque cerchi di attaccare le libertà personali dei cittadini o i diritti previsti dalla Costituzione (voluta dai militari).

La legge quindi prevede una definizione estesa di movimenti terroristici ed implica che i magistrati egiziani stilino d’ora in avanti una lista di gruppi terroristici e soggetti dediti al terrorismo, in seguito alle sentenze delle Corti penali. Quando i giudici inseriranno un’organizzazione in questa lista, automaticamente il gruppo verrà bandito dalla scena pubblica e tutti i suoi beni confiscati. E ieri, lo stesso tribunale del Cairo che a marzo del 2014 aveva proibito temporaneamente le attività del movimento palestinese Hamas in Egitto e decretato la confisca dei beni, lo ha subito confermato nella lista dei «terroristi».

La norma di fatto conferisce un potere assoluto alla magistratura di definire terrorista chiunque faccia opposizione politica. In particolare la legge prende di mira le organizzazioni controllate dalla Fratellanza, già pesantemente censurate dalle autorità dopo il golpe del 2013. Eppure al-Sisi non sta mostrando solo il bastone agli islamisti ma anche la carota, come in perfetto stile Partito nazionale democratico di Hosni Mubarak. Al-Sisi ha infatti incontrato alcuni esponenti della Fratellanza nel palazzo presidenziale, tra cui Kamal al-Helbawy, Tharwat al-Kharbawy e Mokhtar Nouh. Secondo la stampa locale, sarebbe in corso la definizione di un piano per perdonare quei politici della Fratellanza (dichiarato movimento terroristico insieme al partito Libertà e giustizia) che vorranno rinnegare in tutto e per tutto il movimento ed entrare nel nuovo parlamento tra i candidati indipendenti nelle liste elettorali che stanno per essere chiuse in vista del voto del prossimo marzo.

Neppure l’amministrazione Obama sa bene che pesci prendere con al-Sisi. Il segretario di Stato John Kerry ha risposto alle critiche mosse dalla Commissione sugli aiuti militari per i ritardi nel ripristinare le forniture al Cairo, congelate dopo il golpe del 2013. Il presidente della Commissione, Kay Granger ha accusato Kerry di non fare abbastanza per sostenere al-Sisi nella sua «lotta contro lo Stato islamico». Kerry ha ripetuto le preoccupazioni nel rispetto dei diritti umani in Egitto, sottolineando il numero di prigionieri politici, le minacce subite da alcuni diplomatici e di essere in attesa che si svolgano le elezioni parlamentari perché venga presa la decisione di scongelare gli ultimi aiuti fermi per il Cairo.

Non si placano poi le accuse di tortura mosse contro la polizia egiziana. In questo caso, la vittima è il giovane islamista Emad al-Attar, trovato morto nella prigione di Matareyya. La famiglia del ragazzo ha denunciato di aver ritrovato il suo corpo all’obitorio con evidenti segni di tortura. Infine, dieci ultras della squadra cairota dell’al-Zamalek sono stati condannati a dieci anni di prigione, per gli scontri con la polizia di agosto. I tafferugli dello scorso febbraio sono costati la vita di almeno 19 tifosi White Knights.