L’estate è finita. Silvio Berlusconi torna oggi a Roma e trova ad aspettarlo un partito persino più lacerato di quanto non appaia. Arriva senza una strategia precisa in tasca, e come se non bastassero i guai nel cortile di casa ci si mettono pure i presunti alleati capeggiati da Angelino Alfano, il fedifrago un tempo delfino. L’ex per antonomasia ha in programma un incontro con i dirigenti del partito, probabilmente domani, ma forse già oggi potrebbe fronteggiare i gruppi parlamentari, cuore e motore di ogni guaio.
Ieri, intanto, si è consumata la sconfitta prevista e annunciata. Un secco sms ha indicato ai parlamentari azzurri il nuovo nome da votare per la Consulta. Affondato Catricalà, messo in campo con massima solennità dal capo, adesso è il turno di Donato Bruno, il ribelle.

Sulla carta la sconfitta di Berlusconi è netta: il suo candidato non ce l’ha fatta e lui stesso ha dovuto ripiegare di fronte all’offensiva dei suoi parlamentari. In realtà, almeno da questo punto di vista, la situazione è meno tragica: l’affossamento di Catricalà segna una pesantissima batosta per Gianni Letta, che era il suo massimo sponsor, ma non per Berlusconi. Per il signore d’Arcore l’elezione dell’ex viceministro non è mai stata questione di vita o di morte. Lo aveva scelto e inizialmente sostenuto solo per le insistenze dell’ex ciambellano, e lo ha scaricato senza pensarci su due volte. E probabilmente ha anche giocato di sponda con i renziani per completare l’affossamento dell’intero ticket sbarrando la strada anche a Luciano Violante. In fondo, il regista dell’operazione che ha portato al siluramento del candidato ufficiale non è stato un “dissidente” ma Denis Verdini, l’uomo di raccordo con Renzi.
Tutto vero, come è vero che Catricalà era inviso ai parlamentari perché considerato troppo distante dall’universo azzurro e non adeguato a rappresentare il partito in Corte costituzionale, dunque non solo per motivi di dissenso interno.

Ma è anche vero che quelle spinte ribelli c’erano tutte e si sono concentrate sul braccio di ferro della Consulta per lanciare un segnale preciso: per nulla rassicurante. Di certo a sostegno della candidatura “alternativa” di Bruno si è mossa l’intera area di Raffaele Fitto, che rappresenta ormai una vera, determinata e per nulla trascurabile opposizione interna al partito di Arcore. Forse la prima che Berlusconi si sia mai trovato a dover fronteggiare.
Fosse per lui, il Cavaliere si sbarazzerebbe del pugliese come è solito fare da sempre in questi casi: indicandogli la porta. L’intemerata di Maria Rosaria Rossi, che in un’intervista ha invitato chi protesta ad andarsene, non è certo stata un’iniziativa personale della senatrice vicinissima a Francesca Pascale. Accanto a lei, mentre si svolgeva l’intervista, c’era il capo in persona.

Ma Fitto a togliere il disturbo non ci pensa. Anzi. Con un’area forte a sostenerlo e i malumori sempre più diffusi nei confronti dell’asse Verdini-Renzi, con la rivolta che cova contro l’“esattrice” Rossi, abituata ormai a minacciare di non rielezione i parlamentari che si rifiutano di pagare al partito quanto richiesto, il vicerè pugliese gioca al rialzo e chiede di iniziare a fare opposizione seria. Non c’è bisogno di dire su quale fronte: è la politica economica la vera spina. Fosse possibile l’ingresso ufficiale di Fi nella maggioranza, quel “governo di salute pubblica” che ieri Il Mattinale reclamava, non ci sarebbe alcun problema. Ma muoversi sulla fune sottile di una finta opposizione che in realtà fa parte della maggioranza, sospesa sul baratro di misure economiche che saranno necessariamente impopolari e che anche se avessero successo (ipotesi improbabile) andrebbero a tutto vantaggio di Renzi è davvero un’impresa difficile. O una missione impossibile.
Come se non bastasse, ci si mettono le compagnie di venture del centrodestra. «Forza Italia deve scegliere tra noi e gli antieuropeisti della Lega», ha tuonato ieri Alfano. Sarà pure il ruggito del topo, ma è un topo che quando la legge elettorale arriverà nell’aula del Senato potrebbe sfoderare denti aguzzi. Povero Silvio, non c’è da scandalizzarsi se in mezzo a tali tenebre vede un solo raggio di luce e lo segue appassionatamente: l’alleanza di fatto con Matteo Renzi.