Dureranno dieci giorni, in Venezuela, le attività per ricordare i due anni dalla morte di Hugo Chavez (5 marzo 2013). L’emozione è intatta, così come intatta è l’esacerbazione dei sentimenti nei suoi confronti, che divide il campo del socialismo bolivariano da quello di opposizione. La novità è che anche da destra si ricorre al nemico di ieri per screditare quello di oggi, il presidente Nicolas Maduro: «Maduro non è Chavez», è stata la prima arma retorica usata dall’opposizione, il cui candidato, Henrique Capriles, si è esercitato perciò a chiamare «Nicolas» il capo di stato. La seconda è stata quella di disconoscere le istituzioni dello stato come il Consiglio nazionale elettorale (Cne), salvo farne ricorso per garantire lo svolgimento delle proprie primarie interne: ben consapevoli che quel sistema di controllo elettorale, a prova di frodi, è stato approvato con un margine di controllo elevatissimo, voluto proprio dal loro campo.

E nel paese che si avvia a un’importante scadenza elettorale – le parlamentari – le destre in doppiopetto pensano già al referendum revocatorio contro Maduro, possibile a metà mandato (nel 2016). Quelle oltranziste, continuano a organizzare guarimbas, violente tecniche di guerriglia da strada che l’anno scorso hanno provocato 43 morti e oltre 800 feriti. Si esercitano a bruciare scuolabus e ad attaccare municipi, e usano a proprio vantaggio la grande vetrina mediatica offerta a livello internazionale. Sui grandi media spagnoli, capovolgono il senso della parola democrazia e attaccano chiunque sia in odore di alternativa. In questi giorni, hanno promesso di sbarcare a Madrid per inoltrare una denuncia penale contro i dirigenti del partito Podemos ai quali, quotidianamente, viene chiesto di dissociarsi dal «pericolo del chavismo». E a nulla serve che il Comitato delle vittime delle guarimbas presenti il fascicolo delle violenze con tanto di nomi e dati, a essere diffusi sono sempre quelli che presentano il governo bolivariano come la quintessenza dell’inefficienza e dell’autoritarismo.

In Venezuela – si dice – le imprese falliscono e c’è penuria alimentare. Peccato che la rivista Forbes annoveri quest’anno fra i più ricchi anche tre grandi imprenditori venezuelani appartenenti al gruppo Cisneros, Banesco e Empresas Polar. Gustavo Cisneros, fondatore del gruppo di imprese oggi diretto da sua figlia Adriana, ha aumentato la sua fortuna fino ad arrivare ai 3,6 miliardi di dollari (tuttavia nella lista globale dei super milionari è passato dal 375 al 478 posto). I Cisneros agiscono in quattro aree principali, compreso il campo della comunicazione, della tecnologia, oltreché dei beni e servizi. Al secondo posto, compare il banchiere Juan Carlos Escotet, presidente di Banesco e fondatore dell’omonimo gruppo finanziario internazionale (3,3 miliardi di dollari e il 534 posto). In terza posizione, c’è il presidente dell’Impresa Polar, Lorenzo Mendoza, il principale produttore di alimenti e bibite del paese (2,7 miliardi di dollari e 690 posto). Mendoza è uno degli imprenditori che ha accettato di partecipare al dialogo tra governo e opposizione, ora di nuovo in campo con la mediazione della Unasur.

Ieri i ministri degli esteri di Colombia, Ecuador e Brasile, insieme al segretario generale dell’organismo regionale, Ernesto Samper, hanno tenuto a Caracas una riunione straordinaria. Come da statuto, Unasur deve esaminare la situazione del paese di fronte agli attacchi degli Stati uniti, denunciati da Maduro. Washington ha promesso di «torcere il braccio» al governo venezuelano per fargli «correggere il cammino» e di inasprire le sanzioni già approvate. Maduro ha risposto istituendo visti d’entrata per quelle cariche politiche Usa che «hanno calpestato i diritti umani aggredendo o invadendo i popoli del sud del mondo». E ha adottato il principio di reciprocità anche nel numero di funzionari Usa presenti sul suolo venezuelano. Intanto, è stato diffuso un video che fornisce i dettagli dello sventato golpe. Il comunicato di rivendicazione del piano, sarebbe stato registrato e filmato negli Usa.