Quando Matteo Renzi aveva sfidato Carlo Smuraglia invitandolo a un confronto pubblico sulla riforma costituzionale, e il presidente dell’Anpi dopo aver ottenuto qualche minima garanzia (essenzialmente il conduttore, Gad Lerner) aveva accettato, anche di recarsi ospite alla festa del Pd bolognese, in molti avevano giudicato la scelta del novantenne Smuraglia al limite dell’azzardo. Conoscendo la parlantina di Renzi. Invece ha avuto ragione lui. Il dibattito di giovedì sera testimonia che in politica anche il più ardito castello di parole ha bisogno di qualche argomento nelle fondamenta. E verità e propaganda si possono distinguere persino nell’epoca degli spin doctor e delle enews.

Anche i commenti del giorno dopo dei due protagonisti lo confermano. «Nel dibattito ho insistito molto sul merito delle riforme, Renzi ha preferito parlare più volte di politica e dei meriti del governo, anche per riscaldare i suoi fan già agguerriti». Ha detto Smuraglia. «È molto chiaro che chi vuole cambiare vota sì e chi vuole lasciare le cose come sono vota no», ha proseguito nello spot Renzi. E poi si è preso i meriti: «Dimostriamo che c’è la possibilità di dialogare e discutere civilmente e pacatamente». Per restare pacato e civile non ha fatto l’imitazione di Smuraglia come fa quella di D’Alema.

Ma il presidente dell’Anpi, dopo aver riconosciuto l’accoglienza affettuosa riservatagli «anche da parte di alcuni che si dichiaravano per il Sì», caparbio, non ha rinunciato nemmeno ieri alle puntualizzazioni. «Ho registrato con rammarico e con un po’ di intima indignazione una caduta di stile», ha scritto per il sito dell’Anpi, e cioè la riproposizione anche da parte di Renzi della «stantia distinzione tra partigiani veri (quelli che votano Sì) e partigiani meno meritevoli e meno veri (a cominciare da me) per il solo fatto che votano No». Renzi non lo ha detto chiaramente, come aveva fatto la ministra Boschi, ma sul palco di Bologna ha fatto un piccolo elenco di partigiani per il Sì, citando ancora una volta la figura mitica del comandante Diavolo, il 97enne Germano Nicolini, deciso a votare per la riforma costituzionale. «È stato di cattivo gusto ed ha irritato molti degli iscritti all’Anpi presenti», ha detto Smuraglia, che invece per tutta la serata ha ripetuto di non volersi intromettere nelle vicende interne al Pd, evitando qualsiasi riferimento al dibattito sul Sì e sul No all’interno del partito. Ed evitando persino di coinvolgere il governo, il cui destino ha ricordato non può essere legato al referendum ma solo alla fiducia del parlamento. Un’altra bella lezione che Renzi ha colto al volo quando, poco dopo, ha risposto a una contestatrice in un modo che è apparso contraddittorio con i ripetuti annunci di dimissioni in caso di sconfitta: «Solo il parlamento può mandarmi a casa».

Di fronte alla «caduta di stile» e al «cattivo gusto», ha detto Smuraglia, «ero stato tentato di reagire vivacemente sul palco, ma ho preferito evitare di eccitare gli animi». Eppure ha vinto lo stesso la sfida. Non solo, e non tanto, nel conto degli applausi della platea. Ma sul palco, per la capacità di restare serenamente aggrappato ai suoi argomenti. Mentre Renzi litigava con i contestatori invitandoli a «prendersi una camomilla» o si incazzava con la festa dell’Unità e con il mondo fuori che vuole «salvare le tutte le poltrone dei politici», Smuraglia avvertiva di non avere problemi di contraddittorio: «Fischiatemi pure, non mi farete tacere». Ma hanno fischiato di più l’altro. a. fab.