La Libia rischia di precipitare in lungo conflitto armato internazionale. Analizzarne la realtà è di fondamentale importanza, come sostiene Arturo Varvelli dell’Ispi nello studio «Libia, non solo stato islamico», che qui sintetizziamo ed elaboriamo.

La crisi libica sarebbe originata da una debole identità nazionale e dall’eredità della guerra civile del 2011, non esauritasi con la caduta del regime di Gheddafi, socio in affari dell’ex Presidente del Consiglio Berlusconi con l’emittente tv tunisina Nessma TV. Il crollo dei prezzi petroliferi e l’interruzione degli impianti di estrazione hanno generato la deflagrazione dell’economia locale. Le sue istituzioni finanziarie, Banca centrale in primis, cercano di restare indipendenti dal conflitto tra i due governi presenti, quello di Tripoli e di Tobruk, ma non riescono neanche a comprare la farina per sfamare la popolazione. Il disastro agevola l’espansione dello Stato Islamico (IS) in una regione già occupata da reti salafo-jihadiste dal 2012.

La capacità dell’IS di espandersi in Libia non è legata a un’effettiva conquista territoriale, bensì alla sua abilità nel reclutare nuovi membri nelle formazioni radicali già presenti, come Ansar al-Sharia. Per questa ragione, come afferma l’Ispi, quando si parla di IS in Libia si fa riferimento a gruppi che scelgono di giurare fedeltà al Califfato in cambio della legittimazione globale di un jihad locale. I jihadisti libici, a metà del primo decennio degli anni Duemila, erano il gruppo più numeroso di combattenti stranieri a sostegno di al-Qaida e altre milizie operanti in Iraq, Afghanistan e, ora, in Siria. Il loro ritorno in patria gli consentì di ottenere lo status di mujaheddin, favorendo la radicalizzazione del loro ambiente d’origine, la creazione di nuovi gruppi jihadisti e di cellule militari ispirate all’ideologia salafita-jihadista.

Gli effetti attuali della crisi in Sira/Iraq sta generando un’ondata di combattenti rimpatriati con un effetto disastroso per la sicurezza del paese. I primi militanti di Abu Bakr al Baghdadi giunsero in Libia la scorsa primavera, quando gli uomini della brigata al-Battar, composta da 300 jihadisti libici, iniziarono a rientrare dalla guerra in Siria (Deir Ezzor) e Iraq (Mosul). Lo stesso ramo di IS nella città di Derna (Libia), dove nei giorni scorsi attentati kamikaze hanno provocato decine di morti, contava circa 800 combattenti e gestiva vari campi d’addestramento. Nel settembre 2014, con l’obiettivo di contribuire alla brigata al-Battar, Baghdadi organizzò l’acquisizione di Derna con l’invio di uno dei suoi collaboratori. Derna è diventata il nuovo bacino di reclutamento dei combattenti provenienti dal Nord Africa.

Molte altre milizie libiche hanno da poco giurato fedeltà al califfo. Tra queste, la brigata Rafallah Sahati, che faceva parte di Ansar al-Sharia, la brigata dei Martiri, Libya Shield e Jaish al-Mujaheddin. L’IS ha inoltre reclutato combattenti a Beida, Bengasi, al-Khums, Tripoli, come evidente dopo l’attacco all’hotel Corinthias di fine gennaio, e a Sirte.

Tuttavia, pur essendovi una filiale nella capitale, questa non conta molti membri.

Risulterebbero controversi anche i rapporti tra la succursale dell’IS in Libia e la milizia islamista Ansar al-Sharia. Quest’ultima, che dispone di meno di 1.000 combattenti effettivi, responsabile dell’omicidio nel 2012 dell’ambasciatore americano Christopher Stevens, sembra ammirare l’IS. Dopo l’attacco dell’11 settembre 2012, ad esempio, Ansar al-Sharia era disponibile a operare entro i confini dello stato, superando le accuse di appartenere ad al-Qaida. Essa è però anche tentata dagli inviti di al-Qaida di fondare un jihad violento e globale. Per questo ha organizzato attacchi contro uffici internazionali (Stati Uniti, delegazioni europee, sede della Croce rossa, ecc). Ansar al-Sharia non vuole formare un massiccio jihad armato in Libia, strada intrapresa invece da IS, ma uno stato islamico attraverso il graduale controllo delle istituzioni statali e un forte impegno sociale. Tuttavia, la campagna militare del Generale Haftar li sta costringendo al conflitto.

Al-Qaida ha forti difficoltà ad espandersi in Libia. Il suo inviato Abdel Basset Azouz aveva provato a reclutare combattenti nell’est del paese, al confine con l’Egitto, mobilitando più di 200 persone con l’aiuto di Abu Anas al-Libi poi catturato a Tripoli il 5 ottobre 2013 dagli agenti della Delta Force americana, ma venne arrestato in Turchia nel novembre del 2014 e consegnato alla Giordania. IS sta invece cercando di penetrare nel paese attraverso Derna e un gran numero di combattenti stranieri. Tuttavia, milizie islamiche locali, con il Consiglio dei Mujahideen, composto anche dalla brigata dei martiri di Abu Salim, vogliono arrestarne l’avanzata.

Pertanto, anche se la Libia è diventata un rifugio per i gruppi jihadisti, l’espansione di IS nella regione resta incerta. IS, al-Qaida e jihadisti locali sembrano avere obiettivi diversi e in concorrenza, sebbene persista una convergenza tattica comune.
É però certo, come scrive l’Ispi, che la presenza degli occidentali sul suolo libico alimenterebbe una nuova propaganda che favorirebbe la convergenza dei gruppi radicali sotto il cappello dell’IS.

In questo scenario gioca un ruolo strumentale l’Egitto, il quale considera terroristi sia gli islamisti che occupano Tripoli sia i jihadisti di Ansar al-Sharia e IS. Il problema principale di al-Sisi è la Fratellanza musulmana e il flusso di islamisti egiziani che trova rifugio in Libia. Per Il Cairo, ottenere l’avvallo internazionale a un’operazione militare significherebbe attaccare i Fratelli musulmani, legati all’assemblea di Tripoli, e impedire ai gruppi radicali in Libia di controllare il confine con l’Egitto.

IS vuole provocare un intervento militare di terra egiziano e/o internazionale sotto la guida Onu per associare islamisti e jihadisti, creando una momentanea unità tra due galassie che condividono l’obiettivo di creare uno stato basato sulla sharia, ma sono divisi sul sistema di governo e sulla strategia per raggiungere questo risultato.

Questo è il punto fondamentale della questione. Ogni ansia guerrafondaia dovrebbe dunque essere immediatamente fermata per consentire un ragionamento attento a tutte le complesse variabili che interessano quella regione.