Il Perù resta nella morsa dei poteri forti. Al ballottaggio del 5 giugno, da cui uscirà il successore del presidente Ollanta Humala, passano due candidati delle destre: Keiko Fujimori, di Fuerza Popular (che conferma le previsioni dei sondaggi con circa il 40% dei voti) e Pedro Pablo Kuczynski, di Peruanos por el Kambio, con il 24%, contro il 17% di Veronika Mendoza, la candidata del Frente Amplio che era data alla pari con Kuczynski e che ha rappresentato le sinistre.

Domenica, quasi 23 milioni di cittadini si sono recati alle urne per eleggere presidente, deputati e Parlamento andino. Benché la sua candidata non sia passata al primo turno, avendo mancato il 50% dei voti più uno, Fuerza Popular ottiene 60 su 130 seggi, e diventa la prima forza parlamentare. Il 25% lo ottiene il partito di centrodestra Peruanos por el Kambio, il 22% il Frente Amplio, l’11% il populista Alianza para el Progreso, il 6% il centrista Accion Popular e un altro 6% la coalizione di Alianza Popular.

Il deputato più votato è stato il fratello minore di Keiko Fujimori, Kenji, che ha ottenuto oltre mezzo milione di voti, seguito da un’altra fujimorista, Cecilia Chacon. Non raggiungono invece il quorum partiti come Democracia Directa, dell’ex governatore di Cajamarca, Gregorio Santos, in carcere per le lotte ambientaliste, o Perù Posible, dell’ex presidente Alejandro Toledo.

Diverse denunce per irregolarità sembrano confermare il giudizio pronunciato dal Segretario dell’Osa, Luis Almagro, la cui organizzazione ha inviato 79 osservatori dall’America latina: «il processo elettorale peruviano è democratico solo a metà», ha detto Almagro ai giornalisti. E domenica, in rete, sono circolate numerose testimonianze documentate: in alcuni seggi, compariva il simbolo del Frente Amplio ma non la foto della candidata, al consolato peruviano in Italia sono state consegnate schede con il nome di Keiko Fujimori già sbarrato, e si sono registrati molti problemi con il voto elettronico.

La corruzione è d’altronde una delle principali piaghe del paese e nello scandalo dei Panama Papers sono circolati nomi legati a molti principali candidati. Per questo, i sondaggi davano in crescita la candidata Mendoza, un volto nuovo ma con pochi mezzi: «Non dobbiamo rassegnarci alla vecchia politica clientelare. Si può fare una campagna politica con sincerità e onestà, abbiamo dimostrato che siamo più potenti del potere del denaro», ha detto Veronika Mendoza parlando al microfono con il bambino in braccio.

Mendoza ha messo insieme tutti i principali rivoli della sinistra peruviana intorno a un programma minimo che però richiama l’orientamento dei governi progressisti dell’America latina. E per questo, per tutta la campagna elettorale, è stata tormentata dai giornalisti affinché prendesse le distanze dal socialismo bolivariano in Venezuela. Kuczynski, ex ministro dell’economia e uomo della Banca mondiale gradito ai mercati finanziari, ha dichiarato che «è troppo presto per parlare di alleanze al Congresso, ma ovviamente parleremo con tutti quelli che credono nella democrazia».

Intanto, entro il 5 giugno il candidato di Peruanos por el Kambio – gradito allo scrittore Vargas Llosa, come lui coinvolto nello scandalo dei paradisi fiscali e delle società di comodo – cercherà di sfruttare la paura del fujimorismo: per attirare la destra moderata, che teme anche le promesse di assistenzialismo ventilate dalla figlia dell’ex dittatore Alberto Fujimori, decisa a riattivare lo spirito dei primi tempi di governo del padre.

L’ex dittatore (1990-2000) sconta in carcere una condanna a 25 anni per violazioni dei diritti umani: come responsabile del massacro di Barrios Altos (1991) e La Cantuta (1992), durante i quali morirono 25 persone per mano del gruppo paramilitare Colina, e anche per il sequestro del giornalista Gustavo Gorriti e dell’imprenditore Samuel Dyer.

Le vittime della guerra sporca da lui combattuta contro l’opposizione sociale e armata (ricambiata dall’avvitamento del gruppo Sendero Luminoso), sono migliaia (oltre 69.000 tra il 1980 e il 2000, secondo la Commissione per la verità e riconciliazione).

E sulla «riconciliazione» ha impostato gran parte della campagna elettorale Keiko Fujimori, promettendo che non darà l’indulto a suo padre. Alla vigilia delle elezioni, un’imboscata di Sendero Luminoso ha ucciso tre militari.