Oggi, oltre 21 milioni di votanti si recano alle urne, in Perù, per le elezioni regionali e comunali: per scegliere i 220 candidati che aspirano a guidare le 25 regioni e i municipi di 195 province e 1.647 distretti (13.000 tra sindaci e consiglieri). Nel paese sarà presente una delegazione di 34 osservatori internazionali di 17 nazionalità. Tutti gli guardi sono però puntati sulla capitale. Lima è infatti considerata determinante per definire le linee e le alleanze in vista delle elezioni presidenziali, per inclinare il voto da un lato o dall’altro. Unica eccezione, il 5 giugno del 2011, quando Ollanta Humala vinse con i voti dell’interno e non con quelli della capitale, che invece scelse Keiko Fujimori. Le prossime presidenziali si svolgeranno nel 2016.

Per Lima, i sondaggi danno per favorito (53%) Luis Castañeda Lossio, del partito di centrodestra Solidaridad Nacional, già sindaco tra il 2002 e il 2010 e candidato presidenziale nel 2000 e nel 2011. Se vince, i suoi voti verranno corteggiati dai prossimi candidati presidenti di centrodestra, da Keiko Fujimori a Pedro Pablo Kuczynski ad Alan Garcia. Tantopiù perché il fujimorismo non ha candidato a Lima e quello del Partido Aprista Peruano, Enrique Cornejo, è dato al 6%.

L’attuale sindaca di centrosinistra Susana Villaran, eletta a sorpresa nel 2011 e ora candidata dal partito Dialogo Vecinal, risulta al 12% nelle intenzioni di voto. Tutta la sua gestione è stata all’insegna dei colpi di scena, costretta a mettersi costantemente in gioco prima e dopo la scampata destituzione a seguito di un referendum revocatorio promosso dalle destre.

«Non votate per gli inquisiti», ha detto Humala riferendosi all’alto numero di candidati sotto inchiesta per corruzione o addirittura in carcere e alla vulgata prevalente che dice: «ruba, sì, però fa le cose». Per alcuni analisti, come Oscar Ugarteche, la parola che riassume quel che si propone in Perù oggi è trafa elettoral: truffola elettorale, per dire insieme truffa e trappola. E la discussione non sta nei termini di «sinistra/destra» ma in quelli di «trasparenza/opacità; verità/menzogna».

Humala, eletto coi voti della sinistra, ha disatteso tutte le promesse, avallando le politiche neoliberiste, dentro e fuori il paese, e voltando le spalle all’integrazione regionale dell’America latina progressista. Insieme a Colombia, Cile e Messico, il Perù è al centro dei Trattati di libero commercio e dell’Alleanza del Pacifico. Nonostante i numerosi conflitti sociali, le multinazionali hanno mano libera nei territori indigeni e il modello estrattivista, legale o illegale, non ha freni. Lima è la quinta città dell’America latina con il maggior numero di patrimoni superiori ai 1.000 milioni di dollari, ma il «paquetazo» (il pacchetto di misure economiche decise da Humala) non favorisce certo le classi popolari: è un ulteriore regalo agli imprenditori. Humala ha progressivamente ceduto alle pressioni di una destra aggressiva, politica e mediatica, e si è involuto in una gestione pasticciata delle proprie risorse istituzionali.
Secondo uno studio del gruppo Propuesta Ciudadana, la superficie concessa alle attività estrattive è passata dal 6% del 2002 al 20%.

Una tendenza destinata a salire, a detta dell’Fmi. E il presidente della regione Cajamarca, Gregorio Santos, dirigente del partito di sinistra Movimiento de afirmacion social (Mas), ora candidato, è sottoposto a detenzione preventiva per corruzione per aver appoggiato i movimenti contro il mega progetto minerario Conga.