«Il pericolo principale è attualmente la pioggia, perché quando questo genere di materiale finisce in mare diventa molto difficile da bloccare». Antonio Di Natale, biologo marino e segretario della Fondazione dell’Acquario di Genova, è cauto sull’emergenza ambientale in corso nel capoluogo ligure. Non per minimizzare l’incidente ma perché con gli elementi di conoscenza pubblici è difficile quantificare i danni. Nel ponente della città proseguono gli interventi per impedire il deflusso a mare del petrolio sversato nei torrenti Fegino e Polcevera. L’incognita è il meteo.

Quali sono i rischi dell’onda nera che dai fiumi è giunta a piccole chiazze in mare?

Uno dei problemi maggiori è dovuto al fatto che lo sversamento dall’oleodotto Iplom è avvenuto in un periodo in cui ci sono molti uccelli nell’area del Polcevera. Aironi, gabbiani, germani reali e molti altri. Sono stati fortunati gli animali salvati, gli altri dovranno essere ripuliti per poter sopravvivere. Gli animali d’acqua – i pesci dei torrenti cittadini, non in abbondanza, le rane, i gamberi di fiume, qualche crostaceo – invece purtroppo muoiono quando succedono questi incidenti. Talvolta muoiono per mancanza di ossigeno. Ora l’azione più importante è bloccare il greggio prima che arrivi in mare aperto. Il rischio principale è la pioggia, che le previsioni meteorologiche prevedono per il weekend. Le precipitazioni potrebbero ingrossare i torrenti e smuovere il petrolio attualmente bloccato da argini di terra e panne oleoassorbenti, che difficilmente in caso di maltempo riuscirebbero, però, a contenerlo. Un altro problema è legato al vento, finché alla foce del Polcevera c’è vento e mare calmo le panne tengono, se iniziano ad agitarsi il pericolo è che il greggio le oltrepassi. Ma per un’analisi più accurata occorre capire di che tipo di petrolio si tratti.

La tipologia di greggio incide sulle conseguenze del disastro?

Ogni olio minerale ha proprie caratteristiche e può colpire in una maniera diversa gli ecosistemi. Un olio più denso «inquina» meno di uno più leggero che, invece, si espande in superficie e raggiunge uno spazio molto diffuso in mare. Ci sono organismi internazionali specializzati che se ne occupano, hanno sede in Olanda e in Belgio e sono competenti anche nell’intervento sulla fauna. I pesci se non c’è inquinamento massivo, tendono ad allontanarsi dalla zona interessa; non ci riescono se la situazione è più grave. Quella attuale non è certo comparabile a uno scontro tra petroliere, ma è tutt’altro che da sottovalutare. Occorre agire tempestivamente.

Qual è lo stato di salute del Mar Ligure?

Lo stato è notevolmente migliorato rispetto a 30 o 40 anni fa. Fuori dall’area del porto, il Mar Ligure non è caratterizzato da un inquinamento da idrocarburi, se escludiamo le perdite di qualche battello. Le correnti costanti aiutano a disperdere fenomeni localizzati. Sono un aiuto della natura, non umano. Le condizione dell’acqua all’altezza delle foci dei fiumi non è, invece, batteriologicamente buona. Lì l’Arpal impone un divieto di balneazione.

Il tema dell’inquinamento del petrolio è stato una delle questioni affrontate durante la campagna referendaria sulle trivelle. Difficile non collegare le due vicende.

Quella delle piattaforme è situazione complessa, non è bianca e nera. Dalle piattaforme si è estratto più gas che petrolio. E in questo secondo caso sono più pericolose le esplosioni subacquee create da cannoni ad aria rispetto all’esplorazione petrolifera in aree costiere. Manca, però, un controllo adeguato. Ci vorrebbe un maggiore monitoraggio.