La notizia dell’elezione di Trump a 45° presidente degli Stati uniti si è abbattuta come un tornado sui delegati presenti alla 22° Conferenza Onu sui cambiamenti climatici di Marrakech. L’incertezza circa le conseguenze che l’elezione avrà sul futuro dell’accordo si è tradotta nell’unanime augurio che l’insediamento alla Casa Bianca di un presidente che guarda con scetticismo all’emergenza climatica e con favore alle lobbies delle energie fossili non sia sufficiente a minare l’implementazione di un quadro globale di misure vincolanti.

Sulla questione, Trump non ha mai usato mezze parole ripetendo, durante la corsa presidenziale, che qualora eletto avrebbe decretato il ritiro del Paese dall’Accordo di Parigi. Un accordo che gli Usa, per mano del presidente Obama, hanno ratificato solo due mesi fa assieme al capo di Stato cinese Xi Jinping durante il G20 di Hangzhou. Era la prima volta che la potenza atlantica accettava di firmare impegni internazionali per la tutela dell’ambiente. E rischia di essere la prima volta più breve della storia.

Oltre al recesso dall’Accordo sono molti gli annunci di Trump che destano allarme. Il programma energetico per i primi 100 giorni di governo, stilato con il contributo del magnate del fracking Harold Hamm che ora rischia di sedere sullo scranno più alto del Dipartimento per l’Energia, parlano di cancellazione del Piano di Azione per il Clima, di revoca della moratoria di estrazione di petrolio e gas in mare, di rilancio dell’industria del carbone e dei progetti estrattivi non convenzionali, della ripresa dei lavori per l’oleodotto Keystone XL, di fermare il trasferimento di fondi per i programmi climatici delle Nazioni Unite. In sintesi, di annullare tutte le misure adottate con grande ritardo dagli Stati uniti, per lunghi decenni primo inquinatore mondiale, oggi secondo solo alla Cina.

Patricia Espinosa, responsabile Onu per il Clima, ha mantenuto un profilo di grande diplomazia, diramando un comunicato in cui oltre a congratularsi con il neo presidente, si annuncia «ansiosa di collaborare con la nuova amministrazione per far avanzare l’agenda climatica a vantaggio di tutti i popoli del mondo». Christiana Figueres, fino a due mesi fa Segretaria esecutiva dell’Unfcc ha aggiunto che le scelte sul tavolo riguardano anche l’economia a stelle e strisce: «abbandonare rapidamente carbone, petrolio e gas sarebbe la scelta giusta e stimolerebbe sia la crescita che l’occupazione».
Meno diplomatiche le reazioni di altri rappresentanti istituzionali, a partire da Segolène Royal, ministro all’Ambiente francese, che ha ridimensionato le dichiarazioni di Trump chiarendo che «una volta ratificato l’Accordo, non è possibile recedere prima di quattro anni». Il limite – c’è però da aggiungere – è che al momento non sono previsti meccanismi di sanzione per l’inadempienza a quanto prescritto. A farle eco la delegata francese Laurence Tubiana, che ha ricordato che i cambiamenti climatici rappresentano un pericolo per il 60% degli statunitensi e che «non verranno cancellati dalle elezioni americane».
Hilda Heine, Presidente delle Isole Marshall – a rischio scomparsa a causa dell’innalzamento dei mari – ha tuonato contro Trump: «dopo tutte le corbellerie pronunciate in campagna elettorale, c’è da sperare si renda conto della minaccia che il clima rappresenta non solo per i paesi più vulnerabili ma anche per il suo stesso popolo».

Dall’Italia il climatologo del Cnr Sandro Fuzzi ha spiegato che le posizioni di Trump evidenziano «una preoccupante ignoranza e una grave sottovalutazione dell’emergenza ambientale e climatica».
* Associazione A Sud