«È un disastro per centinaia di famiglie contadine e non conosciamo gli effetti che questi prodotti chimici potranno avere sulla popolazione di Gaza». Scuote la testa Khalil Shahin, vice direttore del Centro per i Diritti Umani, che sta indagando sull’irrorazione, con diserbanti e defolianti, fatta nei giorni scorsi da aerei agricoli israeliani di almeno 150 ettari di terreni coltivati nella fascia orientale di Gaza, adiacente alle linee di confine. «Non è la prima volta che accade, l’Esercito israeliano sostiene che distruggendo la vegetazione si impediscono i lanci di razzi e altri attacchi» ci spiega Shahin «ma negli anni passati questa irrorazione era limitata a pochi terreni vicini alle recinzioni di confine. Nei giorni scorsi gli aerei israeliani invece si sono spinti in profondità, per molte centinaia di metri. In alcuni casi i liquidi, spinti dal vento, sono arrivati fino a due km di distanza dal confine, quindi a ridosso dei centri abitati di Gaza».

Da parte israeliana si conferma l’uso di erbicidi e di inibitori di germinazione, allo scopo di «garantire lo svolgimento delle operazioni di sicurezza lungo il confine», ha spiegato un portavoce militare. Anche gli Stati Uniti, negli anni Sessanta, parlavano di «condizioni di sicurezza da garantire» quando spruzzavano ampie porzioni del Vietnam con il famigerato Agente Arancio, per rimuovere le foglie degli alberi e privare i Vietcong della copertura del manto vegetale. Il conto negli anni successivi lo hanno pagato tanti civili vietnamiti, soggetti agli effetti cancerogeni dell’Agente Arancio, senza dimenticare i neonati malformati. La comunità internazionale intervenne con una convenzione del 1978 che vieta o limita fortemente l’uso degli erbicidi durante i conflitti, alla luce alle conseguenze devastanti che hanno sulle persone. Israele non l’ha firmata.

Cosa significherà questa pioggia di diserbanti peruna porzione della popolazione di Gaza si saprà solo in futuro. Così come si stanno ancora studiando le possibili contaminazioni causate dai bombardamenti dal cielo e da terra compiuti da Israele nell’estate del 2014 – nella stessa fascia di territorio orientale di Gaza irrorata nei giorni scorsi – e quelle precedenti provocate delle offensive militari del 2012 e del 2008-9 (sono proprio questi i giorni dell’anniversario dell’Operazione “Piombo fuso”).

La conseguenza immediata è economica: centinaia di famiglie con i campi nelle zone di Qarara e Wadi al Salqa hanno visto distrutti in poche ore spinaci, piselli, prezzemolo e fagioli. Contadini che già devono fare i conti tutto l’anno con le restrizioni imposte da Israele all’ingresso nella cosiddetta “no-go zone”, la zona lungo il confine, larga fino a 300 metri (è la più fertile della Striscia), dove i palestinesi non possono entrare. Qui l’Esercito negli ultimi tre mesi ha ucciso almeno 16 persone e ferito altre 400 durante le manifestazioni innescate dall’Intifada di Gerusalemme.

Di cosa potranno ora vivere i contadini palestinesi rimasti senza raccolto non è un problema che interessa all’esercito israeliano. Senza dimenticare che raramente le produzioni agricole riescono ad uscire da Gaza. E quando accade, sempre con l’autorizzazione di Israele, la spedizione non va sempre a buon fine. Nei giorni scorsi alcune tonnellate di pomodori sono state rispedite al mittente dagli israeliani. Perchè, secondo le autorità militari, erano state aggiunte illegalmente a un carico di altri ortaggi. A Gaza però sono circolate altre voci. Pare che i pomodori contenessero alte concentrazioni di un pesticida, usato in modo improprio, quindi pericoloso per la salute. Il ministero dell’agricoltura palestinese però ha smentito, sostenendo che queste voci «fanno solo il gioco dell’occupante israeliano».

Intanto Ocha, l’ufficio di coordimento delle attività umanitarie dell’Onu, ha diffuso alcuni dati sull’anno che finisce oggi. Nel 2015, fino al 28 dicembre, sono stati uccisi almeno 170 palestinesi e 26 israeliani (ieri è morto un colono ferito a metà mese a Hebron), in attacchi e scontri nel territorio palestinese occupato e in Israele, avvenuti in maggioranza dopo il 1 ottobre, data con la quale si indica l’inizio dell’Intifada di Gerusalemme. Durante il 2015, le autorità israeliane hanno fatto demolire “per mancanza di permesso” 539 edifici palestinesi in Cisgiordania e a Gerusalemme Est. Sono state ridotte in macerie, a scopo punitivo, altre 19 case appartenenti a palestinesi accusati di attacchi contro gli israeliani.