«Bisogna prima di tutto dire una verità talmente scomoda e taciuta che sembra sfidare il buonsenso e cioè che il contrabbando, il traffico illecito delle armi, non esiste».

Carlo Tombola, direttore scientifico dell’Opal, l’osservatorio sulle armi leggere, che da anni monitora da Brescia tutti i dati sul commercio di armamenti in Italia, è più che convinto che tutte le operazioni in questo settore, «anche quelle più grigie, coperte, o nere» siano controllate se non direttamente gestite dai governi. Pertanto per lui «adesso che gli eurodeputati chiedano maggiore controllo è un modo per nascondersi dietro a un dito».

È paradossale che esportiamo armi ai nemici che servono a spararci contro, non trova?

A forza di soffiare sul fuoco, l’incendio divampa, che siamo in guerra non ce lo dice ciò che è successo a Parigi, è da molto prima. Le lobby armiere sono molto potenti e influenzano la politica. Non è strano che delle tante privatizzazioni che sono state fatte nel nostro paese, mai è stata sfiorata Finmeccanica?

Dunque non si può fare niente per chiedere rispetto dei diritti umani, limitazioni, trasparenza?

Al contrario, ma in questo settore vige una ipocrisia gigantesca. Noi di Opal, insieme all’ong TransArms, chiedevamo in sede Onu di disccussione del trattato Att, un’altra cosa: che fosse responsabilizzato anche il vettore, che è civile. Il più grande trasportatore di armi, volete sapere chi è? Fedex, il secondo è Dhl. Se volessimo un controllo reale, lo imporremmo attraverso le basi logistiche. Si possono monitorare le navi e le bolle di carico.

È così che fate voi? controllate il traffico marittimo e i carichi?

è uno dei modi con cui negli anni sono stati individuati alcuni traffici dalle armi in zone di guerra ai rifiuti. Ma la maggior parte di questi canali sono legali. Poi ci sono i dati Istat sui volumi di traffico e la relazione annuale che il presidente del Consiglio, in base alla legge 185, deve fornire al Parlamento con i dati di sette ministeri, quelli economici e quelli della difesa. La nostra legge 185 è una legge modello, che abbiamo conquistato negli anni Novanta e il meccanismo dei controlli incrociati da parte di vari pezzi dello Stato è quello che maggiormente garantisce trasparenza. Solo che adesso, grazie a regolamenti applicativi, si tenta di aggirarlo. Adesso la relazione annuale sull’export di armi non consente più di leggere in modo sinottico tipologia di prodotto, paese di destinazione e quantità esportata, per leggerla un parlamentare deve chiamare un esperto. E poi sono quattro anni che la Presidenza del Consiglio non fa questa relazione.

Non c’è poi il problema delle triangolazioni? Ad esempio l’Oman, un sultanato di 3 milioni di abitanti, risulta avere un giro di compra-vendita di armi da superpotenza.

Sì, ma adesso il meccanismo si è addirittura semplificato con le delocalizzazioni, le reti di intermediazione si estendono e sfuggono alle leggi nazionali più attente. La Beretta ad esempio, tramite la consociata finlandese Sako, commerciava con l’Arabia saudita ma anche l’Ucraina, e fucili Sako sono stati trovati in Iraq e Afghanistan. Poi tramite le due società commerciali che Beretta ha aperto a Istanbul può avvalersi di contatti con altri 40 paesi, con leggi turche, non italiane. Ora l’Italia vuole tornare in forze in Iraq, a Mosul. Enormi partite di armi inviate all’esercito iracheno dopo il ritiro Usa sono finite in mano all’Isis. Forse dovremo smettere di inviargliele, finchè la situazione non migliora, no?.