È cominciato ieri a Pechino il quarto Plenum del Partito comunista cinese, l’incontro al vertice che deciderà l’orizzonte politico per l’anno a venire.

Solitamente nella liturgia politica del Partito comunista, il terzo Plenum viene considerato quello più rilevante, perché arriva dopo un anno circa di insediamento della leadership; ma il meeting iniziato ieri (il cui termine è previsto per il 23 ottobre) segnerà una tappa straordinaria nello sviluppo politico e giudiziario cinese. L’argomento principale sarà infatti la questione legata alla «Stato di diritto» (yifa zhiguo) di cui in Cina si parla da tempo. C’è molta attesa per capire come Xi Jinping, più che mai numero uno della leadership cinese, trasformerà il concetto di rule of law in pratiche e tecniche che dovranno consolidarsi nel tempo.

Carl Minzer, uno dei più importanti sinologi contemporanei, ha provato a spiegare la postura di Xi Jinping di fronte agli ultimi avvenimenti storici (l’intervento, Laying Down the Law at the Communist Party Plenum, è nel numero di settembre di «East Asia Forum»). Secondo Minzer, Xi Jinping ha potuto vivere tanto il 1989, quanto le primavere arabe nel seguente modo: ha osservato e concluso che indebolire la centralità del Partito, rischierebbe di far crollare l’intero edificio.

Questo ha portato a dirette conseguenze politiche: da un lato la battaglia anti corruzione, feroce, senza guardare in faccia nessuno. In secondo luogo Xi ha lanciato una campagna maoista, da poco conclusa, basata sul concetto di «linea di massa», per centralizzare il suo potere e ricreare un’unita ideologica del Partito. Ha infine recuperato – anche attraverso discorsi pubblici, colmi di citazioni classiche su cui per altro si è aperta una sorta di branca di studio – il confucianesimo come collante sociale della popolazione cinese. Secondo alcuni osservatori, dunque, Xi Jinping avrebbe provato a unire confucianesimo, maoismo ed economia di mercato, allo scopo di cementificare una identità nazionale, disorientata dalla velocità dei mutamenti economici e sociali che il Paese ha attraversato negli ultimi vent’anni.
Secondo altri, invece, questo tentativo di Xi porterà ben presto ad una sorta di scontro tra confucianesimo e maoismo. In questa spettacolare, per certi versi, riflessione cinese, si inserisce la questione legata allo Stato di diritto.

Secondo il Financial Times, «le aspettative del Plenum sono verso la promozione di un sistema giuridico più giusto, con meno interferenze da parte di interessi locali, benché ci sia scetticismo circa le reali possibilità che lo Stato di diritto possa essere una priorità per un regime che ha usato la mano pesante su rivali politici, critici nazionali, commentatori internet e la stampa».
Il potere extra-giudiziale del partito di detenere e indagare i propri membri – infatti – con Xi Jinping ha toccato vette che secondo alcuni studiosi, è pari al giro di vite post Tiananmen. Allo stesso tempo sono stati aboliti i campi di lavoro e alcune corti giudiziarie hanno cominciato, per la prima volta, a pubblicare sui propri siti i testi delle sentenze. Si tratta di capire dunque, ancora una volta, quale sia l’interpretazione «alla cinese», del concetto di rule of law. Secondo Minzer, «si potrebbe facilmente immaginare la fine del Plenum con una dichiarazione esauriente sullo Stato di diritto, che potrebbe finire per equivalere ad un avvallo autorevole di un apparato autoritario vestito con abiti confuciani, con qualche piccolo spazio residuo lasciato per riforme giuridiche».

In pratica, anche lo Stato di diritto, al contrario di quanto accade nelle democrazie occidentali, non sarebbe indipendente dal Partito. Come per il concetto di democrazia, quindi, staremmo parlando ancora una volta di un processo completamente guidato dal Partito comunista e nella fattispecie, viste le caratteristiche della leadership attuale, da Xi Jinping stesso. Tecnicamente sono previste alcune operazioni, come ad esempio lo sganciamento dei funzionari locali dalle attività delle corti giudiziarie provinciali, ma il tutto sembra più un’operazione, ancora una volta, interna.

Più difficile che si discuta pubblicamente, invece, della pratica dello shanggui. «L’epurazione anti-corruzione – e i suicidi riportati da parte di molte decine di funzionari sotto inchiesta – hanno focalizzato l’attenzione su un’istituzione così particolare che è conosciuta solo con il suo nome cinese, shuanggui», come scritto dai media internazionali. Shanggui significa letteralmente «doppia designazione»; in pratica i membri del partito devono presentarsi «in un momento designato, in un luogo designato», per un interrogatorio. È una detenzione a tempo indeterminato effettuato da parte degli investigatori della Commissione centrale per la disciplina e l’ispezione, l’organismo che sta portando avanti la campagna anti-corruzione. Può essere che nel Plenum venga anch’essa sottoposta a una nuova disciplina, affinché sia meno arbitraria.

Nel dibattito sul rule of law è intervenuto anche Jerome A. Cohen, un altro sinologo di grande rilevanza (insegna all’università di New York) sulle pagine del think tank Chinafile.com. Secondo Cohen, «Xi sta chiaramente usando la legge come strumento di controllo centrale.
L’indipendenza dei giudici viene invocata principalmente per tentare di ottenere un maggiore controllo di Pechino sul potere decisione dei tribunali locali. Il 4 ° Plenum costituirà in un tentativo di migliorare la reputazione dei tribunali e della legge e migliorare in tal modo la legittimità del governo centrale. Xi ha anche bisogno di usare la legge per giustificare la detenzione di Zhou Yongkang». Quest’ultimo, probabilmente espulso dal Partito al termine del Plenum, potrebbe essere l’esempio principale del processo in atto: in Cina, sotto l’egida di Xi, tutti sono davvero uguali davanti alla legge. Che piaccia o meno all’Occidente, potrebbe trattarsi di una nuova tappa storica nel cammino della Cina.