Il 27 settembre in cinque milioni e mezzo sono chiamati alle urne per eleggere il nuovo Parlament. Le elezioni le ha convocate il president de la Generalitat Artur Mas, che ambisce a tornare a guidare 7,5 milioni di catalani, ma stavolta con il dichiarato obiettivo che siano le ultime elezioni come comunità autonoma spagnola.

L’abilità di Mas è stata di saper cavalcare nei quasi cinque anni in cui è stato presidente l’ondata crescente di rivendicazioni identitarie e indipendentiste e di averla piegata a suo favore. Capo dell’alleanza formata dai due partiti di destra moderata Convèrgencia i Unió (CiU), Mas ha governato i primi due anni in minoranza grazie all’appoggio dei Popolari con cui condividevano l’impostazione economica. Mollati i popolari, aveva scommesso con nuove elezioni di capitalizzare il suo appoggio ai movimenti indipendentisti. Ma andò male: il governo di minoranza si è dovuto appoggiare alla stampella di Esquerra Republicana, partito che era di sinistra e ora sempre più concentrato sul tema dell’indipendenza.

La legislatura era nata con lo storico obiettivo di celebrare un referendum di autoderminazione ai catalani: strategia ideale per poter nascondere qualsiasi altro tema sociale ed economico.

Obiettivo raggiunto, in parte: un Parlament in cui le forze di sinistra erano in maggioranza ha approvato nel 2014 una legge che per la prima volta permette ai catalani di potersi esprimere sulla forma di stato (e su molte altre questioni). Ma il Pp si è lanciato alla giugulare di Mas, con l’unico risultato di trasformarlo in un martire. La legge è stata impugnata (e ridimensionata dal Tribunale costituzionale), il referendum vietato due volte e quello che finalmente si è riuscito a celebrare il 9 novembre scorso è stato un atto informale (ma che ha portato alle urne ben 2 milioni e 300 mila persone, l’80% delle quali ha detto che voleva uno stato indipendente, e il 10% uno stato con maggiore autonomia).

foto Gianluca Battista
Albano Dante Fachin Pozzi (foto Gianluca Battista)

Oggi ci troviamo davanti a elezioni storiche. Albano Dante Fachin Pozzi è il numero 5 di Catalunya sí es pot, ed è il candidato designato da Podem. Fachin è di origine italiana: suo padre era di Priuso, frazione di Socchieve in provincia di Udine, emigrato in Argentina, dove Fachin è nato nel 1976. Vive in Catalogna dal 1992. Dopo qualche studio di filologia inglese, è diventato giornalista, fondatore di caffeambllet, famoso per inchieste sul malgoverno sanitario di Mas. «Vincere sarà difficile», ammette subito.

Qual è il vostro obiettivo minimo nelle urne?
Almeno 25 seggi (su 135, ndr). Ma il nostro discorso è difficile. Non diciamo né “andiamo dritti all’indipendenza, la Spagna ci sta rubando” né “questi catalani sono pazzi, fermiamoli”. Noi giochiamo su un altro asse. Parliamo a quel 30% di persone che non fanno parte del 50% di indipendentisti, ma sono favorevoli all’autodeterminazione.

Spiegando meglio…
Il processo che ci ha portato a questa lista nasce dal Processo Costituente, un movimento scaturitomesi prima di Podemos il cui manifesto politico è praticamente identico a quello di Podemos alle Europee: rifondazione della società basata su economia più giusta, democrazia partecipativa, diritti. Propugniamo un “processo costituente coordinato”. Il processo a favore della sovranità ha un innegabile pregio: ha la capacità di rompere la struttura dello stato frutto della Costituzione del 1978. Sul piano territoriale, ma è chiaro che chiede di esercitare più democrazia. La battaglia per gestire le proprie risorse e avere gli strumenti per avvicinare il potere alle persone è la stessa in qualsiasi parte della Spagna. Il processo costituente coordinato è quello che affratella le varie lotte. I nuovi sindaci dimostrano che quando c’è la volontà politica, qualcosa si può fare ed è questo che legittima il resto delle lotte. Il che non vuol dire subordinare la lotta nazionale, ma collocarla in un contesto più ampio.

Se vince la lista di Mas, faranno la dichiarazione unilaterale di indipendenza entro 18 mesi.
Lo storico Josep Fontana, non certo sospetto di spagnolismo, sostiene che ci sono solo due modi nella storia di fare l’indipendenza. A cannonate oppure negoziando. E qui i cannoni non li abbiamo. Gli argomenti di Junts pel sí sono che ce ne andiamo perché “ci siamo stancati”. Ma dove si va e come uno se ne va, non è chiaro.

Siete poco rivoluzionari?
La rivoluzione si può fare tenendo presente il contesto in cui ci si muove. Fontana dice anche: utilizziamo gli strumenti dell’autogoverno che abbiamo per metterlo a disposizione delle classi popolari, e da lì continuiamo a fare pressione. Faccio un esempio. Il Parlament oggi non ha competenze in politica estera. Ma immagina che voti per una Catalogna libera dal Ttip, l’accordo di commercio segreto che stanno negoziando Usa e Europa. Sarebbe il modo in cui i catalani direbbero davanti al mondo: stiamo lottando per recuperare sovranità.

Quali sono gli scenari possibili per queste elezioni?
Ne vedo quattro. Nel primo, Mas e i suoi ottengono la maggioranza dei seggi – anche se non arriveranno alla maggioranza dei voti. Difficile. Comunque, intanto dovrebbero formare un governo, ipotesi ardua visto che sono eterogenei. Ma dovranno anche prendere decisioni su temi scottanti, come la privatizzazione della sanità o dell’acqua. Noi cercheremo di fermarli, e per questo contiamo con la Cup.

Secondo scenario.
È il più interessante. Vincono, ma senza maggioranza. A quel punto la Cup, che crescerà molto, sarà determinante. E avranno bisogno di noi per tenere a bada Mas. Potremo imporre le priorità sociali, che sono le stesse della Cup. Terzo scenario, il più pericoloso. Sono ancora più deboli, e la Cup non gli basta. A quel punto Mas potrebbe sganciarsi dal progetto indipendentista e negoziare con socialisti o Ciutadans. Perderemmo il fronte sociale. Magari però Esquerra si stacca e potrebbe venire a lottare con noi nelle piazze.

Quarto scenario.
Il più complicato. La situazione si blocca, e Mas convoca nuove elezioni. A quel punto, secondo me, si riaprono i giochi.

Se vi sentite così vicini alla Cup, perché non andate con loro?
Perché ci sembra che la strategia non sia quella giusta. Poi magari ci sbagliamo: avremo davvero una rivoluzione socialista, ma non credo. La Cup dovrà scegliere quale contraddizione pesa loro meno: stare con Mas, con cui non condividono nulla a parte la questione nazionale, o con noi che abbiamo gli stessi obiettivi sociali ma non crediamo che la dichiarazione unilaterale di indipendenza sia la strada giusta.

Perché a livello nazionale l’alleanza IU-Podemos è impossibile, e a livello locale invece sì?
Siccome sono un indipendente, nel consiglio di Podemos sono solo osservatore senza voto, per cui parlo da “esterno”. In Catalogna era chiaro che le lotte che abbiamo organizzato le abbiamo fatte insieme. Penso che in Spagna, sia persino più semplice: c’è un disastro, lavoriamo insieme. Non posso dimostrarlo, ma sono convinto che qui Podemos assieme a Icv (e Iu) prende più voti che se fossimo andati ciascuno per conto suo.