Alleanze regionali sì, ma nessuna intesa a livello statale con Izquierda unida (Iu): così si è espressa la «base» di Podemos. Il risultato della consultazione on line, diffuso ieri pomeriggio, non lascia spazio a dubbi: l’85% dei votanti (45 mila in totale) ha avallato la strategia proposta dal leader Pablo Iglesias e dalla maggioranza del gruppo dirigente.

Tramonta quindi – salvo sorprese – l’opzione sostenuta dal giovane numero uno di Iu, Alberto Garzón: una lista di «unità popolare» sul modello di quelle presentate, con successo, alle scorse elezioni comunali (con la rilevante eccezione di Madrid, dove Iu non c’era).

Casualità vuole che l’annuncio dell’esito della consultazione degli iscritti di Podemos abbia coinciso con la diffusione di un sondaggio dell’autorevole istituto Metroscopia, pubblicato sulla pagina web del quotidiano El País.

Se si votasse oggi, il Partito socialista (Psoe) otterrebbe il 23,5%, in lieve vantaggio sul Partido popular (Pp) del premier Mariano Rajoy, al 23,1%. Più distanti, Podemos (18,1%) e i centristi di Ciudadanos (16%), a chiudere Iu con il 5,6%. Salta agli occhi che la somma di Podemos e Iu situerebbe l’ipotetica lista di «unità popolare» davanti a tutti gli altri, seppur di pochissimo, con il 23,7%.

Occorre chiedersi, tuttavia, se una lista di tal genere otterrebbe realmente la stessa quantità di consensi derivante dall’addizione delle preferenze ottenute separatamente. La questione è vecchia come la politica stessa: unirsi sotto le stesse insegne porta benefici o, al contrario, allontana potenziali elettori? Ogni situazione fa storia a sé, e nessuno, ovviamente, può essere sicuro di avere la risposta giusta.ù

E dunque, Iglesias e compagni sono convinti che presentarsi alle urne insieme a Iu non gioverebbe, mentre Garzón è dell’opinione opposta. Naturalmente, la sproporzione fra Podemos e Iu condiziona negativamente il confronto, dal momento che il disegno di Iu è anche interpretabile come un maldestro tentativo di «salire sul carro dei vincitori»: ed è esattamente così che la vede Iglesias.

In ogni caso, i media mainstream già suonano la grancassa della «crisi di Podemos», dal momento che a gennaio i sondaggi attribuivano alla nuova formazione il 28% dei suffragi.

Fra le spiegazioni addotte, il senso di rifiuto che genera il leader Iglesias, che è percepito – secondo le analisi dei sondaggisti di Metroscopia – come figura incapace di acquistare consensi trasversali: un personaggio «divisivo», si direbbe nel lessico politico italiano delle larghe intese. Più apprezzati – sempre stando alle analisi demoscopiche divulgate da El País – il socialista Pedro Sánchez e Albert Rivera di Ciudadanos, perché trasmetterebbero l’idea di essere più disponibili a cercare i necessarie compromessi con altre forze. Bocciato senza appello il premier Rajoy, che sembra ormai irrimediabilmente avviato sul viale del tramonto. Non prima, però, di avere dato gli ultimi velenosi colpi di coda.

A settembre entrerà in vigore – salvo che il Senato, a sorpresa, la bocci – la «legge per la sicurezza nazionale»: una norma che preoccupa molto le opposizioni.

Ufficialmente, deve servire a dotare il governo centrale di poteri speciali in casi di pandemie, disastri naturali o gravi minacce terroriste. In realtà, sono in molti a sospettare che Rajoy voglia utilizzarla anche contro eventuali azioni «separatiste» del governo di Barcellona. Il 27 settembre ci saranno le cruciali elezioni regionali in Catalogna, da cui potrebbe emergere una volontà maggioritaria di separarsi dal resto della Spagna. Per l’indipendentista Joan Tardá, deputato di Esquerra republicana de Catalunya (Erc), «il premier potrebbe porre al proprio diretto servizio i Mossos (la polizia autonoma catalana, ndr) e tutti i funzionari della Generalitat catalana con un semplice decreto». Preoccupati per l’eccesso di potere che la norma conferisce al governo sono anche i nazionalisti baschi del Pnv (centro-destra non indipendentista) e Iu. Favorevoli, con qualche riserva, i socialisti, convinti che non metta in pericolo le autonomie regionali.