Il tribunale di Cracovia ha rifiutato la richiesta di estradizione di Roman Polanski, avanzata dalla procura di Los Angeles a gennaio scorso, dopo che il regista era stato avvistato all’inaugurazione del Museo di Storia degli ebrei polacchi a Varsavia. Una decisione definitiva che permette al cineasta naturalizzato francese di evitare la giustizia americana sul continente europeo a cinque anni dal no delle autorità elvetiche. La Svizzera si era allora rifiutata di consegnarlo alla giustizia d’oltreoceano internazionale, e il regista era stato rinchiuso agli arresti domiciliari.

Le autorità polacche avevano chiesto i documenti relativi alla precedente procedura di estradizione ritenuta anche a Cracovia prima priva di fondamento. Una decisione dall’esito incerto fino all’ultimo momento. Ancora una volta il tribunale si è limitato ad una valutazione procedurale senza verificare se il delitto è stato commesso. Polanski era stato accusato di violenza sessuale negli Usa ai danni di una minorenne, reato che in ogni caso oggi sarebbe caduto in prescrizione secondo i tempi della legge polacca.

Rappresentato dagli avvocati Jan Olszewski e Jerzy Stachowicz nel suo paese di origine, i difensori hanno sempre sostenuto la tesi che la giustizia americana abbia agito illegalmente, tentando tutto il possibile per incastrarlo. Tra i materiali analizzati dalla magistratura anche alcune testimonianze video tratte dal documentario Roman Polanski: Wanted and Desired (2009), diretto da Marina Zenovich, che hanno contribuito a rafforzare la posizione del regista di fronte alla corte di giustizia cracoviana.

Si temeva infatti un certo rigorismo da parte della giustizia del voivodato della Piccola Polonia che non aveva esitato in passato a collaborare con Washington consegnando alcuni cittadini alle autorità americane. Una decisione definitiva arrivata al momento giusto al netto di ogni possibile interferenza politica dopo la vittoria alle elezioni parlamentari del partito di estrema destra Diritto e Giustizia (PiS). In caso contrario l’ultima parola sarebbe stata quella del Ministero della giustizia che sarà affidato con ogni probabilità all’euro parlamentare Janusz Wojciechowski o a Malgorzata Wassermann.

Figlia di una delle vittime del strage di Smolensk, l’avvocatessa Wasserman, nota sostenitrice della teoria del complotto russo sulla catrastrofe aerea è autrice del best-seller Zamach na prawde, «Attentato alla verità». Uno dei punti chiave del programma di «orbánizacja» del nuovo governo riguarda infatti l’unificazione delle funzioni della Procura generale con quelle del Ministero della giustizia, limitando così l’indipendenza della magistratura.

«Ho fiducia nella giustizia polacca», aveva ripetuto come un mantra negli ultimi mesi un Polanski che non si era mai rifiutato di comparire davanti alla magistratura polacca. Una decisione che rende inutile la «fuga» del regista ieri dall’aeroporto di Cracovia. Il no definitivo della magistratura polacca è arrivato poco dopo l’una mentre l’aereo di Polanski stava per decollare in direzione di Parigi. L’anno scorso il cineasta ha preso in affitto un appartamento in città per lavorare alla pre-produzione di un film sull’Affare Dreyfuss – Un progetto vagamente autobiografico che traccia un suggestivo parallelismo tra la figura del capitano dell’esercito francese, accusato e poi riabilitato nel 1906, e quella dello stesso Polanski.

Da Cracovia intanto il set si è spostato a Varsavia, dove verranno utilizzate alcune delle location già presenti ne Il pianista. Una scelta motivata dai problemi finanziari degli studi Alvernia a Cracovia ai quali Polanski voleva affidare la produzione del film. Il licenziamento di cinquanta dipendenti, avvenuto la scorsa primavera, aveva messo in difficoltà il suo amico e collega Jerzy Skolimowski, costretto a fare salti mortali per completare la post-produzione del film 11 minuti (in concorso alla Mostra di Venezia). Al momento non si sa quando Polanski rientrerà in Polonia per continuare la lavorazione del film.