Varsavia scende in piazza con ritrovata forza dopo l’ondata di proteste di ottobre scorso. Allora gli ombrelli neri dei manifestanti avevano convinto il governo della destra populista del partito Diritto e giustizia (PiS) a fare marcia indietro sull’irrigidimento dell’attuale legislazione sull’aborto. Questa volta a suscitare indignazione è una legge che mira a limitare l’accesso dei media ai locali del Sejm, la camera bassa del parlamento polacco.

Nel pomeriggio di venerdì centinaia di manifestanti hanno formato un cordone di fronte all’ingresso del Sejm durante la discussione in aula sull’approvazione del budget per il 2017. Il numero uno del PiS Jaroslaw Kaczynski anch’egli bloccato diverse ore all’interno dell’edificio si è affrettato a bollare le proteste come «atti di vandalismo». Kaczynski e la premier e collega di partito Beata Szydlo sono stati poi evacuati in auto soltanto nella notte di ieri. Ieri le manifestazioni sono continuate.

Ancora una volta a fare la parte del leone nelle proteste varsoviane è il Comitato per la Difesa della Democrazia (Kod). Il movimento civico guidato dal blogger ed ex-informatico Mateusz Kijowski che raccoglie principalmente gli indignati delle élite e delle classi medie dei maggiori centri del paese. Il cordone organizzato davanti al Sejm ha convinto numerosi cittadini a scendere in piazza contro la legge bavaglio anche a Cracovia, Stettino, e, questa volta, anche in città più periferiche come Bialystok, nel profondo nord-est della Polonia.

Una vicenda del tutto paradossale che ha visto l’insorgere di una «protesta nella protesta». Gli attivisti del Kod hanno costretto all’interno dell’edificio anche i parlamentari dell’opposizione, a loro volta protagonisti di una manifestazione in aula contro il nuovo provvedimento. Un gioco di scatole cinesi che ha poi spinto la polizia a utilizzare la forza per sgomberare l’ingresso del Sejm nella giornata di ieri. Il ministro dell’Interno Mariusz Blaszczak ha negato di aver utilizzato gas lacrimogeni per disperdere l’opposizione.

Il nuovo provvedimento prevede di concedere l’accesso al Sejm soltanto alle principali principali reti televisive del paese inclusa l’emittente statale Telewizja Polska (Tvp). A farne le spese saranno i colleghi della carta stampata e della radio che non potranno fare nessuna domanda di corridoio, nemmeno in buvette, ai politici eletti dai cittadini. Tutti gli esclusi saranno costretti a lavorare in un centro media situato in un altro edificio. «A volte i giornalisti esagerano braccando i deputati anche all’ingresso dei bagni. Ma in questo modo possiamo dire addio a ogni domanda scomoda», ha commentato Monika Olejnik della rete televisiva privata Tvn.

Ormai sembra una triste tradizione. Il mese di dicembre sta diventando il mese nero della libertà di espressione in Polonia da quando il PiS è in sella al paese. L’anno scorso infatti a San Silvestro, il Sejm aveva approvato un provvedimento che permette al ministro del Tesoro di decidere direttamente le nomine dei responsabili dei media pubblici senza che siano passate al vaglio di un’Autorità delle telecomunicazioni. E così le purghe dei dirigenti Tvp «ostili», ordinate dalla dirigenza del PiS, sono diventate ancora più facili.

Si tratta dell’ennesimo colpo inflitto quest’anno alla libertà di stampa e di espressione nei paesi del gruppo di Visegrad (Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia). Il principale quotidiano di opposizione ungherese Napszabadsag non è più in stampa, mentre il mese scorso a Praga una sessantina di deputati hanno presentato un disegno di legge per introdurre il reato di diffamazione presidenziale. Intanto l’orbanizacja dei mezzi di informazione a Varsavia procede a gonfie vele.