Porte in faccia alla Popolare di Vicenza: dopo mesi difficili per l’istituto di credito, coinvolto in scandali e contestazioni da parte dei risparmiatori danneggiati, la banca veneta ha ricevuto ieri il benservito dalla Borsa Italiana. Il suo titolo non potrà essere quotato perché manca il “flottante” necessario, ovvero un sufficiente numero di azioni su cui creare mercato. Il capitale della banca vicentina, dopo la recente sottoscrizione flop (quasi deserto il campo azionisti che ha voluto stanziare denaro), è adesso quasi tutto in capo ad Atlante, fondo di garanzia messo su dal Tesoro. Dopo la notizia, sui listini si sono registrate forti sofferenze anche per gli altri titoli bancari.

Presidente della Popolare di Vicenza fino alla fine dello scorso anno era Gianni Zonin, titolare della omonima casa vinicola: insieme a diversi consiglieri del cda, il patron accede a lauti prestiti dalla sua stessa banca ancora fino al 2015, quando già il titolo si era ampiamente svalutato, e conseguentemente i risparmi degli azionisti, specie quelli più piccoli, già evaporavano. I vertici oggi risultano indagati, e tanti risparmiatori sono ormai rovinati.

«Borsa Italiana – si legge in una nota diffusa ieri dalla società – non dispone l’inizio delle negoziazioni e pertanto il provvedimento di ammissione delle azioni della Banca Popolare di Vicenza è da considerarsi decaduto». Borsa ha infatti deciso che «non sussistono i presupposti per garantire il regolare funzionamento del mercato» a causa dei risultati dell’offerta di sottoscrizione delle azioni dell’istituto finalizzata alla quotazione. L’avvio delle negoziazioni era infatti subordinato «alla verifica della sufficiente diffusione degli strumenti finanziari», requisito non soddisfatto.

Lo scorso 29 aprile l’aumento di capitale da 1,5 miliardi si era concluso con adesioni totali di poco superiori all’8% del capitale. Risultato che già la settimana scorsa alimentato dubbi sulla possibilità che il titolo fosse ammesso alle quotazioni. Il panorama degli azionisti, dopo la sottoscrizione, si è composto così: il 91,72% del capitale sarebbe in mano a «un unico soggetto» (il fondo Atlante), 10 investitori istituzionali avrebbero il 5,07% del capitale (di cui il 4,97% in mano a un unico investitore «indicato come non computabile ai fini del flottante»), il pubblico indistinto avrebbe avuto lo 0,36% e gli azionisti preesistenti il 2,86%.

Ma visto il fallimento della quotazione, il fondo Atlante, che sottoscriverà integralmente l’aumento di capitale da 1,5 miliardi, avrà a questo punto il 99,33% della banca. Quaestio Sgr, gestore del fondo, conferma che Atlante sottoscriverà l’intero aumento di capitale e «intende sostenere la ristrutturazione, il rilancio e la valorizzazione della Popolare di Vicenza, avendo come obiettivo prioritario l’interesse dei propri investitori».

Il mondo delle banche, attraversato negli ultimi mesi da bufere sia finanziarie che politiche, ieri ha reagito con pesanti perdite alla notizia della mancata quotazione dell’istituto vicentino: Montepaschi Siena ha segnato -7,01%, Carige -5,33%, Ubi -5,62%, Banco Popolare -7,38%, Bpm -6,87%, Intesa Sanpaolo -1,98%, UniCredit -5,10%, Bper -4,17%, Mediobanca -3,90%, Credem -2,70%.

Cosa succederà a questo punto? La decisione di ieri non rappresenta un’impossibilità per Popolare Vicenza di proseguire nelle sue attività ordinarie, ma segnala la mancanza di fiducia degli investitori sul futuro dell’istituto: continuerà a esistere, ma si rivela poco attrattivo, tanto che la sottoscrizione di quote in vista dell’ingresso nei listini di Borsa è andato deserto.

Ha tentato di minimizzare Federico Ghizzoni, ad di Unicredit: la Popolare di Vicenza «è in sicurezza e l’importante è questo». A una domanda più specifica sul rifiuto di Borsa Italiana ha aggiunto: «Credo che sia abbastanza indifferente. L’importante è che la banca abbia capitale a sufficienza per poter lavorare tranquillamente e questo obiettivo è stato raggiunto».