Dopo più di un mese dalle elezioni l’accordo tra socialisti, Bloco de Esquerda (Be) e Partido Comunista (Pcp) è stato finalmente concluso. Durante lo scorso fine settimana le segreterie dei tre partiti hanno ratificato in via definitiva il documento programmatico che dà il via libera ad Antonio Costa per formare un governo appoggiato dalle sinistre.

Il testo prevede la cancellazione di fatto di grande parte delle riforme austeritarie di questi ultimi anni. Scorrendo le 138 pagine si ha la sensazione di trovarsi di fronte ad un vero e proprio percorso di smantellamento di quanto fatto a partire dal 2009-2010 quando, a causa della tempesta scatenatasi sui debiti sovrani, il premier socialista José Socrates è stato costretto a firmare con la Troika – Fondo Monetario Internazionale, Banca Centrale Europea e Unione – un piano di contenimento draconiano del bilancio dello stato e di svalutazione salariale.

Al primo punto dell’intesa misure volte ad «aumentare il reddito delle famiglie per rilanciare l’economia». Nel corso del 2016, se Costa sarà nominato primo ministro, verranno annullati per intero i tagli degli stipendi della funzione pubblica e il salario minimo verrà portato da 505 a 600 Euro entro il 2019 (ovvero una crescita di quasi il 20% che riguarderà circa 500 mila persone). Agli aumenti diretti occorre poi aggiungere quelli indiretti che comunque incidono in modo sostanziale sul potere d’acquisto. I contributi previdenziali verranno ridotti del 4% e compensati da un investimento maggiore da parte della Segurança Social (Inps). Sono inoltre previste una serie di riforme atte a combattere l’uso ingiustificato del lavoro autonomo, per favorire l’occupazione e ridurre i livelli di precarietà. Infine verranno reintrodotti i giorni festivi aboliti nel 2011 che passeranno da 9 a 13.

Riguardo all’Europa – una delle tematiche più controverse visto il presunto antieuropeismo di comunisti e blocchisti – ci si trova di fronte a una sorta di paradosso. Dal documento concordato sembrerebbe infatti emergere la volontà di portare ulteriormente in avanti il processo di integrazione e, soprattutto, di democratizzazione dei processi di decision-making (ri)dando maggiore centralità, in quanto principale organo rappresentativo della sovranità popolare, al parlamento. Intanto ieri pomeriggio è iniziato il dibattito all’Assembleia da Republica che si concluderà oggi con l’approvazione della mozione di sfiducia contro il governo guidato da Pedro Passos Coelho. A questo punto il capo dello stato Aníbal Cavaco Silva dovrà decidere quale cammino intende seguire: se dare luce verde ad un esecutivo frentista, mantenere un governo di gestione o addirittura promuovere un governo di iniziativa presidenziale.

Al momento le polemiche riguardo le denuncie di «colpo di stato» lanciate dal Telegraph qualche settimana fa e che tanta eco hanno avuto nei media internazionali, sembrano essersi sopite. Anche il potente ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble ha mostrato tranquillità dicendosi convinto che il Portogallo proseguirà comunque sulla strada della crescita.

Sia come sia da questa sera inizierà un percorso del tutto inedito e quindi ancora molto incerto nella recente storia portoghese e che, ne siamo certi, avrà un impatto non solo interno ma anche sulla Spagna (si voterà il prossimo 20 dicembre) e sull’intero continente (basti pensare al peso giocato dal centro-destra portoghese in sede di eurogruppo). Anche se il compromesso storico lusitano è stato perlopiù accettato le prossime giornate si prospettano delicate perché, come sottolinea Catarina Martins portavoce del Bloco, le pressioni «da parte dell’Europa dell’austerità saranno gigantesche, così come gigantesche saranno le pressioni da parte di quel potere finanziario che in questi anni ha lucrato con la svendita del nostro paese».