Alla fine, al 51º giorno dalle elezioni, il presidente della repubblica Aníbal Cavaco Silva ha finalmente deciso di nominare Antonio Costa primo ministro del Portogallo.

La notizia ha sorpreso quasi tutti perché in realtà fino al pomeriggio di lunedì sembrava che la risoluzione della crisi dovesse essere procrastinata sine die. In un comunicato conclusivo la settimana di consultazioni Cavaco Silva non scioglieva la riserva e anzi ribadiva come, nonostante tutti gli sforzi, le ambiguità apparivano essere ancora troppo significative.

Lunga e dettagliata la lista delle perplessità pubblicata sul sito della presidenza della repubblica: la Nato, il rispetto dei trattati europei, garanzie di stabilità. Insomma sembravano i soliti pretesti con cui alcuni capi di stato si mostrano più fedeli ai trattati europei che non alle proprie costituzioni.

Ancora fino alla prima mattinata di ieri la domanda non era tanto quando, ma se Cavaco Silva avrebbe mai permesso la nascita di un governo frentista. Nulla lasciava intendere che, in modo tanto repentino, la dinamica della costruzione di una maggioranza parlamentare di sinistra avrebbe subito una accelerazione di tale portata.

Il nuovo esecutivo, interamente formato da socialisti, dovrebbe entrare in carica già questa settimana, forse giovedì, forse più tardi, ma insomma si dovrebbe chiudere in tempi rapidi.

Noto da tempo, e in parte già analizzato sulle pagine di questo giornale, il piano di governo per i prossimi 4 anni.

Vale tuttavia la pena ricordare come, oltre alle misure atte a rafforzare il potere di acquisto (aumento del salario minimo, delle pensioni e abolizione delle aliquote speciali del periodo austeritario), il progetto preveda un’azione più decisa sul contrasto e la repressione delle violazioni relative al diritto del lavoro, reintroduzione delle 35 ore nella funzione pubblica, abolizione e/o riduzione dei ticket nel sistema sanitario nazionale e uno stop ai processi di privatizzazione.

Insomma non è la rivoluzione ma certamente si può dire che, contrariamente a quanto accade in Francia e Italia, paesi guidati da forze suppostamente progressiste, siamo di fronte a un programma decisamente di sinistra.

Questo sia nella sua vertenza più post-materialista, quella dei diritti civili – adozioni omosessuali e revisione delle restrizioni della legge sull’interruzione volontaria di gravidanza – sia in quella materialista “novecentista”, forse troppo sbrigativamente abbandonata negli anni di infatuazione delle terze vie blairiane e zapateriste.

Si è così arrivati alla conclusione di un lungo e accidentato percorso che è stato costruito con coraggio e determinazione. L’assunzione di responsabilità non è conquista del potere fine a se stesso perché per socialisti, blocchisti, comunisti e verdi, era decisamente più facile restare all’opposizione aspettando pazientemente che i dati economici mostrassero quanto fragile fosse la ripresa economica.

Oltretutto il centro-destra promette una durissima battaglia il ché, certamente, rafforza l’isolamento, ma anche la coesione dell’inedita alleanza. La sua determinazione, perché il presidente ha sì firmato il decreto di nomina, ma ha anche tenuto a specificare che se non fosse stato il semestre bianco, periodo in cui non gli è concesso sciogliere l’Assembleia da Republica, la decisione sarebbe stata differente.

C’è tuttavia un aspetto ugualmente importante che merita di essere sottolineato e che trascende la mera contingenza per dare agli avvenimenti di queste ore un carattere storico.

Proprio oggi si ricordano infatti i 40 anni della fine di uno dei momenti più importanti della Rivoluzione dei Garofani, quello del Prec (Processo Revolucionário Em Curso) e l’inizio di quella che comunemente viene chiamata la fase del consolidamento della democrazia. Insomma, in poche parole, un momento in cui il baricentro della politica virava bruscamente verso il centro.

Era il 25 di Novembre del 1975 quando un gruppo di paracadutisti tentavano il colpo di stato. Sul banco degli imputati, accusati di volere instaurare un regime socialista, il Partido Comunista Português e una parte del Movimento das Forças Armadas.

Le teorie del complotto sul 25 de Novembro si sprecano, una parte della sinistra radicale accusa il Pcp di essere stato con i contro-rivoluzionari, tutto il resto delle forze politiche invece iscrive i comunisti tra i complici dei rivoluzionari.

Indipendentemente da come la si pensi, dato che la mancanza di documenti non permette una chiarificazione definitiva di quegli avvenimenti, il 25 novembre è per tutti la data fondante della prassi fino a qui seguita nella democrazia portoghese e, quindi, fondamentale al punto tale che ancora oggi è oggetto di asprissime dispute.

Casualmente è proprio nel quarantennale di quel golpe che la conventio ad excludendum con cui l’”estrema” sinistra è stata tenuta lontana dall’area di governo, perché ritenuta non fedele ai valori democratici, è stata superata.

Difficile dire cosa succederà nei prossimi mesi, molte sono le incognite ma oggi piace potere pensare che passati 40 anni da quel giorno le sinistre possano riprendere lo spirito che aveva animato i mesi del Prec e si facciano portavoce di un grande processo di cambiamento sia in Portogallo che in Europa.