Venti, trenta anni fa sistemarsi alle Poste era un obiettivo “checcozaloniano”, oggi invece le Poste sono una realtà che punta all’avanguardia nella tecnologia, nella digitalizzazione, nella Cyber security». Tutte rose e fiori, secondo il premier Matteo Renzi, che ieri a Cosenza ha visitato il distretto di Cyber security di Poste Italiane. Il presidente del consiglio ha incoraggiato 54 giovani che frequentano un master a «costruire occasioni concrete per immaginare un domani». Dovrebbero augurarsi però, aggiungiamo noi, di diventare velocemente quadri e dirigenti del colosso statale: perché mentre negli ultimi 10 anni il numero e le retribuzioni delle figure dirigenziali sono cresciuti a dismisura, al contrario il personale operativo ha subito tagli pesanti, sia negli organici che nelle buste paga (cresciute meno dell’inflazione).

Le cifre vengono da uno studio che la Uilposte ha commissionato all’Eures, attraverso l’elaborazione dei dati che le stesse Poste hanno inviato alla Corte dei Conti. «Il Gruppo – spiega la ricerca – è passato da un organico complessivo di 155,6 mila unità del 2005 a 144,6 mila nel 2014. Ma mentre i dirigenti passavano da 721 a 789, e i quadri aumentavano di 2.325 unità, nelle aree operative, invece, si assisteva a una forte contrazione di posti di lavoro, che da 131.399 del 2005 si sono ridotti a 123.255 nel 2014 (- 8.144 unità)».

Me nel mirino del sindacato finiscono soprattutto le dinamiche salariali: «Per quanto riguarda la sola Poste Italiane Spa, il costo medio di ciascun dirigente è passato da 174.600 euro nel 2005 a 253.037 nel 2013 (valore record) – scrivono Uilposte e Eures – Mentre, dunque, il costo unitario relativo al personale dirigente è aumentato del 44,9%, quello dei non dirigenti ha riscontrato una crescita di appena l’8,1%, variazione inferiore a quella dell’inflazione, con conseguente riduzione del potere d’acquisto dei salari».

Una parte dello studio è poi dedicato alle retribuzioni del Cda, contestate però in serata da una nota di Poste. Secondo il sindacato, «con riferimento al Cda di Poste Italiane Spa, a fronte di una riduzione del numero dei componenti, passati, nel 2008, da 11 a 5, si evidenzia un incremento del costo sostenuto dall’azienda per i compensi e le spese degli amministratori (+31,5%), passando da poco meno di 2 milioni di euro nel 2005 a 2.575.000 euro nel 2014. Di conseguenza, il costo medio di ciascun amministratore passa da 178 mila euro nel 2005 a 515 mila euro nel 2014 (+189,3%)».

Poste «smentisce decisamente» e precisa che «gli emolumenti spettanti ai consiglieri di amministrazione sono stati fissati dall’Assemblea ordinaria a inizio mandato (maggio 2014) e ammontano a: 60 mila euro lordi annui per il Presidente e 40 mila euro lordi annui per i consiglieri. Il Cda ha poi deliberato (dicembre 2015) di riconoscere ai consiglieri, in ragione della loro partecipazione ai Comitati interni, ulteriori compensi: Comitato Controllo e Rischi: 30 mila euro per il rispettivo presidente e 20 mila euro per gli altri due membri; Comitato Remunerazioni e Comitato Nomine rispettivamente 20 mila euro e 15 mila euro».

Uilposte, con il segretario Pierpaolo Bombardieri, chiede a Poste di «ripristinare relazioni industriali corrette», e segnala che mentre il governo ha destinato «260 milioni per la corretta funzionalità del servizio di corrispondenza, i lavoratori sono diminuiti, hanno uno stipendio cresciuto meno dell’inflazione, sono costretti a turni assurdi e poco efficienti e non hanno i mezzi necessari». «Il contratto è scaduto – conclude – e in alcuni territori come Milano e Napoli si sono verificate addirittura condizioni di illegalità e intimidazioni da parte di alcuni dirigenti a iscritti della Uil».