Il 12 luglio del 1969, qualche minuto dopo che Neil Armstrong ebbe poggiato il suo stivale sulla superficie della Luna, lasciando la storica impronta e proferendo la sua celebre frase, Buzz Aldrin all’interno del modulo lunare dava conferma via radio a Houston dell’esito positivo della missione. «Ora chiederei a tutti un momento di silenzio», aggiunse Aldrin.
Dopo qualche secondo, da Houston giunse la risposta lievemente preoccupata: «Buzz – entriamo in silenzio radio». Durante quei minuti di blackout il vicecomandante dell’Apollo 12 estrasse da una speciale sporta un calice d’argento alto pochi centimetri, una microporzione di vino contenuta in una busta sotto vuoto e un’ostia, il kit che si era portato per una comunione da campo.
Quarantacinque anni fa, il silenzio radio imposto dai controllori di Houston era motivato dal fatto che le esternazioni religiose degli astronauti del centro spaziale avevano già provocato grane non indifferenti all’amministrazione e al governo federale. Nel 1966, dopo che l’equipaggio dell’Apollo 8 aveva trasmesso alcuni passaggi della Genesi per santificare la loro orbita terrestre, Madalyn Murray O’Hair, presidente della lega atea d’America, aveva querelato la Nasa affinché impedisse «atti religiosi nello spazio».
Ma quegli «atti religiosi» sarebbero continuati, seppur senza un patrocinio ufficiale, per iniziativa di diversi astronauti seguaci di un pastore presbiteriano, il reverendo John Stout, che lavorava al centro spaziale di Houston per la Itt su un appalto Nasa per l’elaborazione di dati dei collaudi aeronautici. La sua vocazione, però, era decisamente più «divina». Il dinoccolato predicatore, originario dell’Oklahoma, si era autoproclamato «cappellano della Nasa» e aveva fatto proseliti fra numerosi tecnici ingegneri e astronauti già dagli anni delle missioni Gemini.

Predicatori galattici

Dopo aver promosso la trasmissione siderale dei passaggi biblici, gli sforzi del reverendo Stout si concentrarono sul trasporto nello spazio di reliquie, in particolare divenne ossessionato dal far giungere il Verbo di Dio sul satellite della Terra.
Per il reverendo Stout, il «gigantesco balzo per l’umanità» consisteva principalmente nel piazzare una bibbia sulla Luna. A Houston aveva precedentemente fondato, con fervore tutto texano, la Apollo Prayer League allo scopo di «assistere le missioni attraverso la preghiera». Lo zelo dei pregatori venne raddoppiato dalla causa della O’Hair. Più cinquecentomila fedeli indignati firmarono allora una petizione a favore del diritto di ogni astronauta di pregare ovunque si trovasse nel sistema solare.
Stout, intanto, si era reso conto che, pur nell’ambito delle ferree restrizioni di peso, gli astronauti disponevano di un «personal preference kit», un piccolo complemento di effetti personali che avevano diritto di portare a bordo delle navicelle. Sarà questa la via del Signore per portare la vera religione sulla luna, soprattutto perché la miniaturizzazione in microfilm permette di ridurre i voluminosi testamenti a dimensioni accettabili.
Già sull’Apollo 12 Stout riuscì a introdurre una prima bibbia microfilmata, ma un errore di calcolo nella ripartizione del cargo fece sì che il Buon Libro fosse dimenticato a bordo del modulo orbitante invece di essere trasferito nel lander.
Stout, però, non si perse d’animo per l’occasione mancata e sull’Apollo 13 caricò addirittura un centinaio di bibbie su microfiche, grazie anche all’entusiasta appoggio di un politico emergente del Texas, George Bush Sr., che consegnò cerimoniosamente – e di persona – il prezioso cargo all’equipaggio. Ma la sventura colpì ancora (e quasi costò la vita ai tre astronauti ) quando un guasto tecnico costrinse il centro di comando ad abortire d’emergenza la missione e a trarre rocambolescamente in salvo l’equipaggio sulla Terra assieme alle bibbie di Stout, sprovviste di certificato lunare.
Il reverendo e la sua setta di astro-integralisti dovranno attendere il 5 febbraio 1971 quando Edgar Mitchell pilota del modulo lunare di Apollo 14, depositando infine la prima bibbia – una microstampa delle dimensioni di una diapositiva, con una lamina in oro – sulla superficie della Luna, portò a termine la santa missione. Oltre alla special edition nella tasca della tuta di Mitchell, altre cento bibbie in versione King James erano all’interno della capsula di atterraggio; altrettante nel modulo di commando; Apollo14 era praticamente uno spaccio orbitante di articoli religiosi.

Copie in viaggio

L’anno dopo Jim Irwin il pilota del modulo di Apollo 15 viaggiò con una dichiarazione di fede firmata da 250 membri della sua Nassau Bay Baptist Church. Un secondo documento simile viene portato da Charlie Duke sull’Apollo 16, sulla stessa missione Fred Haise, pilota del module aveva con sé il crocifisso del rosario di sua zia e – forse per par condicio – l’anello massone di un amico. Alan Shepard celebre per il bagaglio a mano per niente ortodosso (come le mazze con cui sulla Luna giocò a golf) portò in viaggio una copia del Christian Science Monitor che oggi risiede nella Church of Crist Scientist di Boston.
Tutto questo traffico di amuleti e oggettistica varia era tecnicamente contrario al regolamento, anche se la Nasa aveva chiuso un occhio. Ci fu infine una stretta di vite dopo che diversi fogli di francobolli vennero trasportati senza permesso nello spazio per conto di un commerciante filatelico. La smania di portare vicino ai corpi celesti reliquie e talismani, affinché acquisissero beatitudine per osmosi, sembrerebbe stonare con quello che, in teoria, sarebbe un trionfo laico della scienza. Eppure forse è proprio l’aspetto più rappresentativo della specie che è evidentemente arrivata sulla Luna con tutte le sue superstizioni. In questo caso, si trattava di cittadini di una nazione fondata sull’Illuminismo quanto sul fanatismo religioso – e molti propendevano per la seconda opzione.
Dopo la pensione, Charlie Duke abbinerà l’attività di predicatore a quella di titolare di un fondo di investimenti. Mitchell lasciata la Nasa, fonderà l’Institute For Noetic Sciences sotto gli auspici di Werner Von Braun. James Irwin, quello profondamente più toccato dall’estasi mistica lunare, finirà per fondare una chiesa evangelica, la First Flight Colorado, autoproclamandosi «ambasciatore di buona volontà per il Principe della Pace». Per gli ultimi vent’anni di vita si dedicò alla ricerca – senza fortuna – del relitto della Arca di Noé che, dall’analisi delle scritture, riteneva naufragata sul monte Ararat.

Dal cielo al museo

Il numero esatto di microbibbie che sono andate sulla Luna è non precisato, probabilmente non lo conosce nemmeno il reverendo Stout che risiede in un ospizio comunale per anziani nei pressi di Austin (una pagina Facebook intitolata «Liberate il rev Stout» denuncia che sarebbe tenuto contro la sua volontà e soggetto ad abusi). Di sicuro, negli anni successivi al programma Apollo lui stesso ne distribuì molte a chiese, musei ed istituzioni. Una pare sia allo Smithsonian di Washington, altre giunsero alla Casa Bianca di Nixon, forse dignitari stranieri, di certo diversi esponenti della politica conservatrice e teocon Wallace, Safire, Spiro Agnew – gente a cui premeva, come a Colombo o a Cortez mezzo millennio prima – di piantare al più presto bandiera e croce sui «nuovi mondi». E sarebbe stata una conquista completa se non fosse stato per i guastafeste atei e comunisti che lassù hanno mandato le proprie sonde – i Lunokhod ad esempio, o la sonda Luna 10 che, nel 1966, trasmise dall’orbita del satellite una gracchiante versione dell’Internazionale captata in diretta dal 23mo congresso del Pcus a Mosca. Ma questa è un’altra storia.