Nel nostro immaginario il termine potere viene spesso accostato a un atto di forza, a un fine da raggiungere, a un traguardo da conquistare con ogni mezzo. In una qualsiasi elezione politica si dà quasi per scontato che per arrivare alla vetta sia lecito oscurare le più comuni regole etiche. Nella letteratura, dall’epica e la tragedia greca passando per Shakespeare, fino ai contemporanei romanzi noir, in un certo senso una versione riveduta e corretta di Macbeth, sono state scritte intere pagine sull’esaltazione dello scalare e la miseria del cadere, salite e discese tinte di rosso sangue. E poi i piccoli e i grandi schermi. Games of Thrones e House of Cards, giusto per fare due esempi di serie televisive nelle quali ogni singolo personaggio trama contro altri, cerca di dominare la legge di causa effetto, prova ad arginare la contingenza, l’eccedenza del reale, a vantaggio della riduzione a uno, affinché tutto torni, il piano si realizzi, la porta per accedere al comando si schiuda.

In questo fosco panorama composto di fitte trame e zone grigie tendenti al nero, può apparire un’anomalia il nuovo prodotto della ABC, visibile in Italia su Netflix (una puntata alla settimana rilasciata la domenica), Designated Survivor con protagonista Kiefer Sutherland, qui più simile al timoroso John di Melancholia che allo spregiudicato Jack Bauer di 24.
Tom Kirkman è un onesto Segretario della Casa e dello Sviluppo Urbano che accetta, fedele alla causa del partito, una «promozione» che in realtà è un vero e proprio licenziamento per dare luogo al più classico dei rimpasti di governo. Naturalmente il destino gioca la sua parte e lo fa in modo clamoroso.

Il designated survivo del titolo sta a indicare uno dei componenti della linea di successione presidenziale che durante il discorso del presidente sullo stato dell’Unione viene tenuto in una stanza di un altro edificio, nel caso accadesse qualcosa di grave in Campidoglio. Una precauzione ereditata dalla Guerra Fredda che per la prima volta si rivela sensata. Infatti, durante il discorso, il Campidoglio viene raso al suolo da una serie di esplosioni. E il disciplinato segretario pronto a traslocare, si riscopre nelle vesti del presidente degli Stati Uniti. Altro che Lannister e Stark, Macbeth e Frank Underwood. Tom Kirkman, marito modello e padre di due figli, politico per niente incline al doppio gioco e nemmeno succube del fascino perverso dell’ambizione personale, si trova con la valigetta dei missili nucleari, circondato dai falchi che vorrebbero far arrestare tutti i concittadini musulmani e bombardare porzioni di mondo a loro piacimento, e con una schiera di collaboratori che improvvisamente intravedono l’opportunità di fare carriera.

Mettere un uomo normale in una situazione straordinaria non rappresenta un espediente narrativo particolarmente originale. E nel corso delle puntate scopriremo se questo elemento corrisponderà a una delle tante trovate per intrattenere o se porterà gli spettatori a immaginare e a riflettere su un’altra nozione di potere, l’indefinibile apertura dell’esser possibile. «Paese possesso d’uno solo? Non esiste», diceva Emone al padre Creonte nell’Antigone. E se il regno di un sol uomo fosse da considerarsi una follia?