C’è allarme, in America latina, per l’annuncio natalizio di Manuel Santos: la Nato – ha detto il presidente colombiano – ha accettato di iniziare conversazioni ufficiali per mettere in marcia un programma di cooperazione economica in materia di intelligence e lotta al crimine organizzato. Un obiettivo – ha precisato Santos – «che ho perseguito fin d a quando ero ministro della Difesa. Già circa nove anni fa inoltrammo la richiesta per un accordo di mutua cooperazione, la massima istanza della Nato per i paesi che non ne sono membri». II trattato contempla, in primo luogo, l’accettazione dei programmi militari della Nato, premessa per l’entrata a pieno titolo nell’Alleanza atlantica tra Usa ed Europa.

Un bell’inizio da Nobel per la pace, per l’ex ministro della Difesa di Alvaro Uribe, sotto il cui governo sono aumentati in modo esponenziale gli omicidi mirati e le «consulenze» Usa. Attualmente, gli Usa hanno almeno 80 basi militari in America latina, sulle circa 800 disseminate nei cinque continenti fino alla metà del 2015. Il Perù ne conta il maggior numero, seguito dalla Colombia, con sette. In Honduras c’è la più grande base militare nordamericana del Centroamerica, quella di Palmerola. Lì è atterrato l’aereo con i militari honduregni che avevano sequestrato l’allora presidente Manuel Zelaya, deposto con un colpo di stato lampo il 28 giugno del 2009. L’aereo vi fece scalo per 15 minuti prima di portare Zelaya in Costa Rica.

Un rapporto stilato dal capo del Comando Sur, Kurt Tidd e datato 25 febbraio del 2016, porta il significativo titolo «Operazione Venezuela Freedom-2». Spiega i 12 «obiettivi tattici e strategici» per attivare il piano di sanzioni previsto nella cosiddetta Carta democratica dell’Osa e così legittimare l’intervento militare contro Caracas proprio a partire dalle basi in Honduras e in Colombia (diverse delle quali citate nel testo). Dall’Honduras, sono partite numerose operazioni della Cia, a partire da quella del 18 giugno del 1954 contro il presidente progressista del Guatemala, Jacobo Arbenz.

Dalla Colombia, all’Honduras al Venezuela, le organizzazioni popolari si sono fatte sentire. Il governo venezuelano ha diffuso un comunicato ufficiale per respingere il possibile accordo militare tra Santos e la Nato, giacché viola gli accordi di pace dell’America del Sud. La Comunità degli stati latinoamericani e caraibici (Celac) e la Unasur, di cui anche la Colombia fa parte, ha infatti dichiarato il continente «zona di pace», e così ha fatto il Movimento dei paesi non allineati a settembre nell’isola di Margarita, in Venezuela, presieduto da Nicolas Maduro.

«Il governo venezuelano si oppone con fermezza all’intento di introdurre fattori esterni che hanno potenza nucleare nella nostra Regione, le cui azioni passate e recenti indicano politiche di guerra, violentano gli accordi bilaterali di cui la Colombia fa parte e i principi di Bandung».

Gli accordi sulla sicurezza, l’interscambio di informazioni e formazione di giudici e personale militare alla lotta alla criminalità organizzata è emerso anche in un recente incontro organizzato dall’Ila alla Farnesina, alla presenza degli alti comandi dei Carabinieri e della Finanza, di Procuratori e di alcuni governi centroamericani: ove la rimozione delle cause (l’ingiustizia sociale) è ovviamente rimasta sullo sfondo. Intanto, in Colombia, dove va avanti con procedura d’urgenza l’approvazione degli accordi di pace con la guerriglia, è anche passata una riforma tributaria di stampo neoliberista, che taglia le tasse alle grandi imprese, ma aumenta l’Iva dal 16 al 19%.