La maggioranza di destra israeliana si è ricompattata e, superate le perplessità del partito Kalanu, ha approvato ieri alla Knesset, con lettura preliminare, la proposta di legge sulla “sanatoria” retroattiva degli avamposti coloniali ebraici, la Regulation Law, eretti in Cisgiordania anche su terreni privati palestinesi in violazione del diritto internazionale e della stessa legge israeliana. Il provvedimento passa ora in commissione. Se approvato dal Parlamento in via definitiva (dopo tre letture) potrebbe, tra le altre cose, salvare Amona, il più grande degli almeno 100 avamposti coloniali, di cui la Corte Suprema ha nuovamente chiesto lo sgombero entro il 25 dicembre perché costruito su terreni privati palestinesi.

Il premier Netanyahu e il ministro della difesa Lieberman continuano a manifestare dubbi sulla Regulation Law proposta da Naftali Bennett, ministro dell’istruzione e leader del partito ultranazionalista “Casa Ebraica”, sull’onda della vittoria di Donald Trump negli Stati Uniti. Bennett è convinto che Israele debba approfittare subito della posizione espressa da Trump durante la campagna elettorale e dopo il voto. Secondo il neo presidente le colonie ebraiche, in continua espansione nei Territori palestinesi occupati da Israele nel 1967, non rappresentano un ostacolo per la soluzione del conflitto. Per questo Bennett è stato il primo a sostenere la Regulation Law poi adottata e formalizzata da tre deputati della destra. Invece Netanyahu e Lieberman, che pure sono aperti sostenitori della colonizzazione, sono più prudenti.

Il ministro della difesa (che vive nella colonia di Nokdim, a sud di Betlemme) ritiene che Israele debba trarre vantaggio in un modo diverso dalla linea della futura Amministrazione, richiedendo gli Usa di riconoscere le cosiddette “aree omogenee di insediamento ebraico in Cisgiordania”. Si tratta di Ariel, Maaleh Adumim e Gush Etzion, i tre principali “distretti” coloniali in Cisgiordania. Washington, nella visione di Lieberman, dovrebbe pronunciarsi a favore della loro legalizzazione in cambio della rinuncia di Israele ad espandere le colonie più isolate. «Se la nuova Amministrazione Usa ratificasse la formula Bush-Sharon – ha affermato Lieberman riferendosi ad una intesa del 2004 tra George W. Bush e l’ex premier israeliano Ariel Sharon – non dovremmo più costruire altrove. Se possiamo concentrare le costruzioni in zone dove già abitano l’80 per cento dei coloni e non al di fuori, questa sarebbe una buona cosa». Il ministro della difesa ha anche rivelato che i consiglieri di Trump hanno inviato messaggi in cui chiedono a Israele di astenersi dal fare passi ulteriori in Cisgiordania prima che la nuova Amministrazione si sia formalmente insediata.

I ministri israeliani più estremisti non hanno alcuna intenzione di aspettare mentre le 40 famiglie di Amona continuano a mobilitarsi, pronte a resistere, anche con la forza, all’ipotesi di evacuazione da parte dell’esercito e della polizia. Già dieci anni fa, quando fu ordinato lo sgombero di alcune case dell’avamposto (creato nel 1995), gli abitanti non esitarono a scatenare scontri violenti. E se dovesse intervenire l’esercito per evacuare Amona, potrebbero essere i palestinesi a pagarne subito le conseguenze. Qualche giorno fa il sindaco israeliano di Gerusalemme, Nir Barkat, ha avvertito che di fronte alla “cacciata” dei coloni di Amona la sua amministrazione intensificherà la demolizione delle case arabe “abusive” nella zona Est della città. Proprio a Gerusalemme il movimento dei coloni, attraverso il loro braccio esecutivo nella città vecchia, l’organizzazione Ataret Cohanim, hanno chiesto ai giudici di ordinare l’evacuazione di 72 famiglie palestinesi dall’area di Batan al Hawa, nel quartiere di Silwan. Si tratta di famiglie che vivono lì dagli anni Cinquanta, su terre che negli anni passati le autorità israeliane hanno trasferito, attraverso più passsaggi, alla Ataret Cohanim, che ora vuole espellere i palestinesi e sostituirli con cittadini ebrei. Un anno fa la famiglia Abu Nab fu cacciata via perchè viveva, secondo i documenti in possesso dei coloni, in un edificio che più di cento anni fa ospitava una sinagoga.