Anche Renzi ha i suoi professori. È comparso ieri – sul sito della campagna governativa per il Sì al referendum costituzionale – un appello di docenti favorevoli alla riforma. È un contrappello e una prova di forza. Se infatti erano 56 i costituzionalisti raccolti da Onida e Cheli che un mese fa si sono pronunciati per il No, e sono una decina i costituzionalisti del comitato del No, quelli del Sì messi insieme dai professori Caravita, Ceccanti, Fusaro e Ciarlo sono ben 184. Non sono però tutti costituzionalisti, e nemmeno tutti giuristi: ci sono filosofi, storici, economisti, tributaristi, sociologi. Non sono neanche tutti professori ordinari, nell’elencone che chiama al sì ci sono diversi associati e ricercatori. Un buon segnale, dal punto di vista della partecipazione alla vita pubblica dei più giovani. Ma anche un’innovazione nel galateo universitario, in base al quale è generalmente ritenuto più corretto non far schierare i docenti che devono ancora superare un concorso. E che dunque saranno giudicati da accademici che hanno aderito all’una o all’altra cordata.

Buona parte delle firme di questo nuovo appello provengono da quelle raccolte già due mesi fa dal professor Caravita, costituzionalista della Sapienza di Roma, in calce a un appello che non si schierava ancora né per il Sì né per il No. Ma si presentava, allora, come un invito a non personalizzare la partita del referendum e a favorire «un voto informato e consapevole». La nuova lista dei professori per il Sì contiene nomi noti – Bassanini, Panebianco, Treu, Salvati, Tabellini – e si apre con la firma di Salvo Andò. Socialista, già ministro della difesa del governo Amato, compare come docente dell’università Kore di Enna, della quale è stato rettore, anche se le cronache raccontano di una sua estromissione (seguita dal commissariamento della fondazione). Come tutti gli appelli, si legge più per le firme che per il testo. Che del resto è assai simile al contenuto dei documenti governativi. Ma è interessante il passaggio sulla nuova legge elettorale, che evidentemente anche i sostenitori del Sì fanno fatica a difendere. Si raccomanda infatti agli elettori di votare al referendum pensando solo alla riforma costituzionale e non all’Italicum, che in ogni caso sarà soggetto al vaglio della Corte costituzionale. E poi si truccano un po’ i conti, si dice che in fondo questa nuova legge maggioritaria concede al vincitore un vantaggio di soli 24 seggi. A prima vista una smentita totale dei tanti allarmi lanciati in questi mesi da chi vede nell’Italicum un sistema per blindare la maggioranza, alla quale vengono regalati 340 seggi. Il calcolo dei professori per il Sì è fatto immaginando che tutto il resto del parlamento, i 290 deputati residui – e dunque in ipotesi grillini, leghisti, sinistra radicale e berlusconiani – si comporti come un blocco unitario. E anche in questo caso, la differenza tra 340 seggi e 290 fa 50. Ma, ecco il sofisma, se 26 di questi senatori di maggioranza passassero a votare con l’opposizione, potrebbero rovesciare il governo. Dunque la maggioranza è di soli 24 deputati. Fuori dal sofisma, le simulazioni dimostrano che con l’Italicum chi vince al ballottaggio di un solo voto, anche avendo raccolto il 20% al primo turno, avrà circa 230 deputati in più rispetto al secondo partito.

Nel frattempo il governo è ancora impegnato nella sua polemica con L’Associazione nazionale partigiani, colpevole di aver deciso al congresso (300 voti contro 3 astenuti) di invitare a votare No al referendum. Come del resto aveva già fatto nel 2006, contro la riforma Bossi-Berlusconi (appoggiata invece da alcuni dei professori che oggi sono schierati per il Sì a Renzi), in quel caso senza polemiche. Dopo che la ministra Boschi ha spiegato in tv come riconoscere i «veri» partigiani (sono quelli schierati per la riforma, e ce ne sono), il presidente del Consiglio Renzi ha corretto il tiro: «Quella dell’Anpi è una posizione legittima, ci sono veri partigiani che voteranno Sì e che voteranno No e noi abbiamo rispetto per tutti». Segue un triste censimento di ex combattenti, tutti naturalmente assai anziani, schierati con l’una e con l’altra parte. Che raggiunge lo scopo: limitare l’impatto negativo della notizia che l’associazione più importante dei partigiani ha deciso, con una discussione e un voto, di bocciare la nuova Costituzione.
L’operazione non finisce qui, perché la propaganda del Pd ha arruolato con il Sì Pietro Ingrao – notoriamente favorevole al monocameralismo, ma in tempi di legge elettorale proporzionale – e Nilde Jotti – che una dirigente Pd ha recentemente rivisto nella figura della ministra Boschi: tra due giorni in un convegno a Piombino è in programma la reincarnazione. Alla propaganda ha replicato Celeste Ingrao, prima figlia di Pietro: «Gira una foto di papà con appiccicato sopra un grosso Sì e il simbolo del Pd, prendendo a pretesto frasi pronunciate in tutt’altro contesto e avendo in mente tutt’altra riforma. Se, come si usa dire ora, bisogna metterci la faccia, allora ci mettano la loro e quella dei loro ispiratori».