A Rai3 giornalisti e conduttori vestiranno uno stile più sobrio ed elegante. La direttrice della rete, Daria Bignardi, in un’intervista a Il Foglio ha dichiarato che, oltre alle idee su come dovranno evolvere i programmi e i linguaggi: «Abbiamo ragionato su alcuni cambi di stile. Cambieremo nei programmi del day time le scenografie, le grafiche, le luci, e abbiamo pensato anche a uno stile aggiornato per chi andrà in onda. Senza troppe cofane in testa o cravattoni. Accortezze, eleganza. Nessuna imposizione, è una condivisione semmai. La pensiamo tutti così ed era arrivato il momento di farlo».

Ci sentiamo più tranquilli perché, stando a quanto avevano scritto in un primo momento alcuni giornali, sembrava che insieme agli abiti troppo aderenti, alle scollature profonde, alle pailettes, al trucco eccessivo e agli orecchini vistosi, sarebbero stati banditi anche i tacchi alti, il tubino nero e le braccia nude perché troppo sexy. E la petite robe noir inventata da Coco Chanel nel 1926 dove l’avremmo messa? E poi, sarebbe stato davvero ingiusto proibire queste tre cose da parte di Daria che, da conduttrice, ne ha fatto uso più o meno abbondante. Come non ricordarsi, oltre alle mise eleganti e discrete, le maliziose inquadrature ai suoi tacchi a stiletto ai tempi delle Invasioni Barbariche?
Per un attimo abbiamo anche temuto che ci andasse di mezzo Milena Gabanelli che è sempre sobrissima, però ha un debole per i pantaloni aderenti, le braccia scoperte e ogni tanto si concede un tubino e qualche colore acceso. Il suo è uno stile che non distrae affatto dai contenuti, semmai aiuta a non deprimersi troppo guardando le malefatte che Report svela. C’è gente che, pur adorando la Gabanelli, a volte non guarda la trasmissione per non concludere la domenica sera nello sconforto. Se poi a Milena mettessero un saio, che cosa faremmo prima di andare a dormire, ci spareremmo per la tristezza?

Resta il fatto che scegliere l’abito, l’acconciatura e il trucco con i quali porgere una notizia o condurre un programma è un lavoro molto più complicato di quanto si pensi perché la televisione amplifica tutto. La telecamera allarga, scava, sottolinea e l’occhio dello spettatore diventa spietato anche senza volerlo.

Ogni particolare, dal colore dell’ombretto alla piega del capello al nodo della cravatta, entrano in casa con una prepotenza quasi violenta.
Ti accorgi subito se un mezzo busto è ingrassato, se ha le occhiaie ed è stanco, se ha sbagliato taglia o taglio dell’abito e finisce che guardi lì, non c’è storia, e allora i commenti tipo «Ma com’è invecchiata/o!» si sprecano. Andare in video dà notorietà, ma può anche stritolarti l’immagine o renderti una macchietta. Il problema, semmai, è che negli ultimi anni c’è stata una corsa a chi mandava e manda in onda più mostri possibili, perché l’orrido attrae, ipnotizza e fa audience. E più lo somministri, più te lo chiedono, come una droga.
Jannacci cantava: «La televisiùn la g’ha na forsa de leun, la g’ha paura de nisun, la t’endormenta cume un cuiun». Sacrosante parole, leggibili anche al contrario, nel senso che così come può annientare il cervello di chi la guarda, può gettare nell’orrido o nel ridicolo chi la conduce.

In attesa di vedere se e come evolveranno i programmi Rai e lo stile di giornalisti e conduttori, meglio tenere svegli gli anticorpi, imparare a spegnere il non più piccolo schermo (a quanti pollici siamo arrivati?) quando ciò che trasmette diventa cretino, superficiale, di parte, volgare, inutile o fuorviante, e non succede di rado.
Il tempo dirà se i contenuti saranno all’altezza delle camicette.

mariangela.mianiti@gmail.com