La partita delle nomine Rai si chiuderà con rapidità inusuale se il «piccolo Nazareno» funzionerà a dovere. Tutto lascia pensare che andrà proprio così, dal momento che la riforma a Silvio Berlusconi va benissimo. Dopo essersi occupato nel week end essenzialmente di calcio, è volato ieri a Roma per incontrare il suo stato maggiore e decidere sul da farsi. Il suo semaforo verde sul ticket presidente-direttore generale è imprescindibile. In caso contrario Renzi dovrebbe cercare i voti per il presidente, in commissione di vigilanza, bussando a casa Grillo. Non ha alcuna intenzione di farlo.

Per la casella davvero fondamentale, quella del direttore generale, il premier ha scelto, guarda caso, un fedelissimo che oltretutto scalpitava in attesa della nomina, Antonio Campo Dall’Orto, pedigree MTV, molto affidabile e a palazzo Chigi non c’è virtù professionale più apprezzata. I margini di incertezza sono ridotti all’osso, a quattr’occhi il gran capo ha già dato al diretto interessato il suo via libera. Ma prima è necessario chiudere l’intesa con Arcore e Renzi preferirebbe di gran lunga che la trattativa partorisse una presidente. Questione di apparenza più che di sostanza, ma si sa che per il pigliatutto di palazzo Chigi nulla è più importante. Sinora i nomi possibili sono saltati tutti, vuoi per indisponibilità della papabile, vuoi per il pollice verso dell’ex Cavaliere. Ieri è spuntata Antonella Mansi, vicepresidente di Confindustria, ma Renzi giocherà oggi anche la carta Veltroni. Potrebbe andare bene a entrambi gli ex soci del Nazareno. In realtà nulla verrà definito prima del ritorno in patria di Renzi, stasera, e a quel punto Berlusconi si aspetta non un nome secco ma una rosa. In parole povere l’esatto opposto di quel che avvenne nella non dimenticata occasione della nomina del capo dello stato.

Intanto però bisognerà che la commissione di vigilanza riesca stamattina a eleggere i sette consiglieri di nomina parlamentare. La faccenda si è complicata nelle ultime ore per la spinosa questione del «riequilibrio». Essendo in questa legislatura il parlamento una specie di figura perennemente cangiante, con gruppi parlamentari che scompaiono o appaiono un giorno sì e l’altro pure, le proporzioni sulle base delle quali era stata composta la commissione non rispecchiavano più la realtà delle camere. Il presidente del senato Grasso ha invitato i due gruppi sovrarappresentati, l’M5S e Fi a dar prova di «responsabilità» rinunciando a uno dei loro commissari. I pentastellati hanno aderito subito, pur non avendo ancora deciso chi sostituire tra Gianni Girotto e Lello Campolillo. Gli azzurri ci hanno messo un po’ di più, ma nel tardo pomeriggio, dopo apposito colloquio, i due capigruppo, Brunetta e Romani, hanno annunciato che sarà proprio Paolo Romani a lasciare la commissione. Sacrificio non disinteressato, dal momento che Romani punta alla guida del Copasir, altra poltrona rientrata in ballo per questioni di «riequilibrio». Al posto dei due ormai ex commissari entreranno un rappresentante del Gal, il «gruppo misto»di destra del senato, e uno dei fittiani.

La nuova composizione complica più che semplificare le cose. I pentastellati sono scesi da cinque a quattro commissari. Dunque sulla carta non sarebbero più in grado di raggiungere i cinque voti necessari per nominare un consigliere senza cercare accordi. Se però il presidente Fico, contro la prassi ma non contro il regolamento, sceglierà di votare per il candidato Carlo Freccero, i numeri ci saranno e a quel punto si potrebbe verificare una situazione assurda, con otto candidati eletti per sette posti. Il passaggio in maggioranza (di fatto, non di nome) dei verdiniani, inoltre, potrebbe permettere a Renzi di ambire alla nomina di ben cinque consiglieri invece dei quattro previsti.

Ieri i parlamentari della maggioranza Pd si sono incontrati con la ministra Boschi, ma il nodo delle quattro nomine che dipendono dal loro voto non è definitivamente sciolto, e non si scioglierà senza una lunga notte di telefonate e trattative destinata a concludersi, questa mattina, con il verdetto di Renzi dal Giappone. Il Pd lascerà certamente uno dei suoi posti a un alleato minore, quasi certamente l’Ncd. Quanto agli altri tre, Renzi deve decidere se concedere un consigliere alla minoranza del suo partito, come avvio di riconciliazione in vista della partita di settembre sulle riforme istituzionali, o portare a casa tutto. Le previsioni profetizzano concordi l’intesa con la minoranza, che aprirebbe le porte all’ingresso in cda di Beppe Giulietti o Vincenzo Vita. Se i consiglieri Pd saranno 5, com’è invece probabile, nella riunione decisiva del Pd fissata per le 8 di stamattina tutte le caselle andranno a posto. Qualche dubbio invece, sul consigliere di Fi, dovrebbe essere Antonio Pilati, uomo di fiducia di Berlusconi, ma è anche possibile un accordo con la Lega che porterebbe alla nomina di Giancarlo Mazzucca.