Si consolida la testa di ponte delle forze governative alla periferia di Mosul. Quella che in primo tempo appariva come una incursione per testare la forza e le reazioni dell’Isis, si è trasformata in un primo avamposto all’interno della città. Unità speciali dell’esercito ieri hanno bonificato le strade dalle bombe e condotto rastrellamenti casa per casa uccidendo, in circostanze non chiare, sei (presunti) miliziani dell’Isis in un tunnel e altri due nelle abitazioni perquisite a Gogjali e in aree alla periferia orientale di Mosul. Se a Gogjali le armi ieri hanno taciuto, i combattimenti sono andati avanti in altre zone della cintura esterna di Mosul. Le truppe governative hanno fatto qualche progresso a sud dove hanno preso il controllo di quattro villaggi, il più grande è Min Gar, a circa 10 km dalla città. Le autorità irachene hanno anche permesso a un primo gruppo di reporter di entrare nelle aree liberate. Tra questi l’inviata della Rai Lucia Goracci. «Sono stata accolta da civili in festa che sventolavano bandiere bianche di fortuna», ha raccontato la giornalista «(gli abitanti) gridavano ‘Dio vi benedica’ e ‘Daesh (Isis) vada all’inferno’…c’erano donne con indosso vesti colorate, uomini che si erano già rasati la barba». Goracci ha anche riferito di aver visto i cadaveri di uomini dell’Isis morti nei combattimenti.

Intanto fonti curde sostengono che il Califfo Abu Bakr alBaghdadi si troverebbe ancora a Mosul, al contrario di voci circolate in passato che lo davano in salvo in un rifugio lontano dalla città dove due anni fa proclamò la rinascita del Califfato.

Cresce la preoccupazione per i civili. E non solo quelli intrappolati (circa un milione) all’interno di Mosul, non pochi dei quali sarebbero ostaggio dei jihadisti decisi a non arrendersi. Il rischio di rappresaglie e vendette è alto. Amnesty International ha denunciato che miliziani sunniti della tribù Sabaawi, alleata del governo, hanno detenuto nei villaggi di Makuk, Tal al Shaeir e Douizat al Sufla, numerosi abitanti, accusandoli di essere sostenitori dell’Isis e sottoponendoli a torture, pestaggi e abusi. I Sabaawi, spiega Amnesty, intendono vendicarsi delle uccisioni a sangue freddo di membri della loro tribù compiuti dall’Isis. L’accaduto conferma che il rischio di vendette contro i civili giunge anche dalle formazioni paramilitari sunnite e non solo dalle milizie sciite delle Unità di mobilitazione popolare (Hashd Shaabi) come sostiene il leader turco Erdogan per giustificare un intervento del suo esercito in territorio iracheno e a Mosul. Proprio le milizie sciite si dimostrano, al pari dei peshmerga curdi, fondamentali per il successo dell’offensiva in corso. Ieri sono avanzate in altri 115 kmq di territorio, portando a 705 chilometri quadrati l’area liberata a ovest di Mosul. Hanno anche preso il controllo dell’oleodotto a sud di Mosul uccidendo, dicono, 47 uomini dell’Isis.

Il compito delle Hashd Shaabi è tagliare le vie di comunicazione tra Mosul e il territorio siriano attraverso le quali i miliziani dell’Isis in fuga e i loro parenti tenteranno di raggiungere la Siria. Puntano anche su Tal Afar, città turcomanna e antico avamposto ottomano, che Ankara sostiene di voler proteggere da possibili aggressioni degli sciiti. Il ministro degli esteri turco Mevlut Cavusoglu è stato categorico quando ha avvertito che la Turchia, che ha truppe già dispiegate a Bashiqa, in territorio iracheno, è pronta ad agire con forza per difendere i turcomanni. Ankara in realtà intende contrastare, con la sua presenza militare nel nord dell’Iraq, l’influenza dell’Iran che controlla e finanzia le Hashd Shaabi (che ufficialmente sono agli ordini dell’esercito regolare iracheno).

Di pari passo con l’evolversi del quadro militare intorno e dentro Mosul, aumenta l’emergenza degli sfollati. L’Unicef avverte che sono già 18mila, la metà dei quali sotto i 18 anni. Al campo di Khazir gli sfollati che vivono lì da due anni raccolgono cibo e altri generi di prima necessità per i parenti e gli altri iracheni che scappano da Mosul per sottrarsi ai combattimenti e ai bombardamenti feroci che si prevedono nei prossimi giorni. Anche gli altri campi profughi si riempiono di nuovi arrivi. Occorrono ulteriori aiuti internazionali per accogliere una massa di civili, in fuga dalla guerra, che è destinata a crescere con il passare dei giorni, ha avvertito ieri Jennifer Sparks dell’Organizzazione internazionale per la migrazione.