«Si chiama legge di guerra, non legge sull’autodifesa» sorride Norimichi Hattori, tra gli organizzatori di una manifestazione di fronte alla Dieta. La determinazione pacifista del Giappone post bellico è scolpita nell’articolo 9 della Costituzione del 1946, che proibisce l’uso delle forze armate e che il governo liberal democratico di Shinzo Abe vorrebbe riformare in esecuzione del progetto revisionista del suo partito.

Per ora Abe ha ottenuto una nuova legge sulle Forze di Autodifesa, entrata in vigore il 29 marzo, che dà la possibilità al Giappone di impiegare l’esercito all’estero a sostegno dei suoi alleati. La legge è stata varata tramite una forzatura giuridica che fa leva sul concetto di autodifesa collettiva.

«In gioco c’è la natura stessa del Giappone» teme Tsutsui Yuriko rappresentante di una delle 7.000 associazioni riunite per la difesa dell’articolo 9 che manifestano il 3 maggio, festa della Costituzione, in tutto il paese. Infatti, all’ordine del giorno non c’è solo la legge sulle forze armate, ma una modifica complessiva della Costituzione pacifista. Contro l’entrata in vigore della legge un gruppo di avvocati, coordinati da Ito Makoto, ha iniziato il 26 aprile una causa contro il governo. Oltre 600 avvocati rappresentano più di 2.000 ricorrenti in diverse parti del paese. «Ora le nostre attività saranno percepite in modo diverso e possiamo diventare degli obiettivi. Siamo preoccupati della perdita del Peace Brand – il marchio pacifista – che di fatto ci protegge» protesta Shirakawa Tohru, del Japan Volontary Center (Jvc), Ong attiva nella cooperazione allo sviluppo, che è uno dei ricorrenti.

«La situazione è critica, simile a prima della guerra. Si tratta della politica dei cittadini contro quella del governo» aggiunge l’avvocato Kimio Tsuji di Osaka, che è uno dei legali. Kimio organizza tutti i 9 del mese, in omaggio all’articolo 9 della Costituzione, una dimostrazione contro la riforma nel centro di Osaka. I manifestanti temono che la polizia con le riforme di Abe non sarà più lì per proteggerli, ma per attaccarli. Tra le modifiche di rilievo nel progetto del governo c’è la limitazione delle libertà di associazione, di riunione e sindacale, oltre alla possibilità di ricorrere alla legislazione di emergenza per fronteggiare le crisi interne. Si tratta di un ritorno alle leggi di pubblica sicurezza del 1925 per l’avvocato Ito, con una costituzione che serve a limitare i cittadini e non i poteri pubblici.

Le proposte di Abe di riformare la costituzione e il ruolo delle forze armate ha provocato una storica saldatura di opposizioni e movimenti. Tsutsui racconta che i vari gruppi, tradizionalmente molto divisi, hanno stretto legami trasversali alle età, alle appartenenze politiche, alle professioni.

Alle manifestazioni c’è scambio di militanti tra il movimento antinucleare e quello a difesa della costituzione. Il 26 marzo al parco Yoyogi a Tokyo 30 mila persone hanno protestato contro la riapertura di nuove centrali nucleari. C’erano quattro palchi e uno ha ospitato i gruppi a difesa della costituzione.

Per i movimenti giapponesi c’è una data spartiacque: si tratta dell’undici marzo del 2011, il giorno del disastro di Fukushima. Lì si trovano le radici della mobilitazione di oggi. Di fronte alla Dieta c’è Yasuyo con il suo «Guerrilla Café» che dice «con Fukushima molte persone hanno cominciato a vedere l’ingiustizia della società, non si tratta solo di Fukushima, dobbiamo cambiare le nostre vite, non solo votare». Anche Shiragawa, portavoce del Jvc, ha lasciato il suo precedente lavoro e si è dedicato alla cooperazione a causa del disastro.
Misao della Metropolitan Coalition Against Nuke è l’organizzatrice delle dimostrazioni antinucleari del venerdì di fronte all’ufficio di Abe, culminate nell’estate del 2012 con centinaia di migliaia di partecipanti, e organizza ora la campagna «No-nuke go vote». Il coordinamento del movimento avviene tramite i social media e ci sono stati finanziamenti degli sponsor, imprese della moda soprattutto.

Lei partecipa dal 2006 e in quanto grafica di professione ha contribuito a cambiare il look della protesta con un discreto successo.

Sul fronte parlamentare il partito democratico e il partito comunista hanno stretto un’alleanza in vista delle prossime elezioni estive. L’obiettivo è negare alla coalizione al governo i due terzi dei seggi alla camera alta necessari a cambiare la costituzione. Avranno il sostegno di un vasto movimento che spera di mandare in frantumi il sogno revisionista di Abe.