Non c’è solo l’incognita su chi arriverà al ballottaggio, domenica prossima, ma anche quella della partecipazione. Oggi, ci sono le primarie della Bella Alleanza Popolare, cioè del Ps e affini. Sette candidati, che devono prima di tutto battersi contro il muro della rassegnazione nell’area politica che è ancora “maggioranza” sulla carta: i potenziali elettori sono scoraggiati dalla consapevolezza, sempre più diffusa, di essere chiamati a scegliere il perdente delle prossime presidenziali. Il contrario di quello che era successo a dicembre, con le primarie della destra, dove c’era la certezza – oggi un po’ sfumata con la campagna di François Fillon che annaspa – di poter scegliere in anticipo il prossimo presidente della Repubblica.

Sette candidati, tre veramente in lizza – Manuel Valls, Arnaud Montebourg e Benoît Hamon – delle vere divergenze, qualche proposta di nuove idee, ma una pesante sensazione di un partito arrivato a fine corsa. Il progetto del Ps, accentuato negli anni Hollande, era stata la “sintesi” tra le diverse anime dell’area socialdemocratica. Oggi quest’ipotesi è esplosa, fuori portata. All’interno del Ps e all’esterno. L’elettorato socialista è eroso dall’esterno da due candidati che hanno snobbato le primarie della Bella Alleanza e che si presentano al primo turno delle presidenziali: Emmanuel Macron e Jean-Luc Mélenchon. L’europeismo, il liberismo e le idee liberal sulle questioni di società per il primo, la difesa delle classi popolari, dei diritti del lavoro, lo scetticismo sempre più pronunciato contro l’Europa per il secondo. Il Ps è preso in tenaglia tra questi due poli, che sono ormai inconciliabili. De resto, Macron e Mélénchon dichiarano apertamente questa spaccatura definitiva (anche Valls aveva parlato di “sinistre inconciliabili” prima della breve campagna delle primarie). Questa divisione si riproduce anche all’interno del Ps, anche se in termini meno estremi. Abrogazione della Loi Travail (Hamon, Montebourg), mentre Valls la difende, stessa divisione sul diritto di voto degli stranieri alle elezioni locali, la fine della V Repubblica, la legalizzazione delle droghe leggere.

Ma soprattutto non c’è una visione del mondo comune: sul lavoro che manca, Montebourg propone un ritorno al produttivismo e a un certo protezionismo (anche euro-scettico), Hamon ha messo sul tavolo l’unica idea nuova, il reddito di cittadinanza (respinto dai concorrenti), Valls coltiva la propensione autoritaria in salsa social-liberista, mentre Peillon cerca un’impossibile sintesi sul modello Hollande. E nessuno difende l’Europa con entusiasmo (tutti i principali candidati alle primarie, Valls, Montebourg, Hamon ma anche Vincent Peillon, avevano votato “no” al referendum sulla Costituzione europea del 2005), che solleva maggiore adesione invece tra i tre minori, la radicale Sylvia Pinel, l’ecologista François de Rugy e il centrista Jean-Luc Bennahmias. Macron e Mélenchon riempono le sale ai loro meeting, l’ex ministro dell’Economia che rifiuta ogni compromesso con il Ps si vede già al ballottaggio a maggio contro Marine Le Pen, il leader della France Insoumise organizza dei “déboulés” – comizi improvvisati in strada – e si presenterà persino sotto forma di ologramma, sogna di polverizzare il Ps al primo turno per diventare il solo rappresentante della sinistra (dopo aver già soffocato il Pcf). Solo una grossa partecipazione oggi e il 29 – sopra i 2 milioni – potrà dare legittimità al candidato Ps, per sperare di cambiare lo scenario che sembra ormai scritto e il cui primo capitolo è stata la rinuncia di Hollande a ripresentarsi, di fronte alla grande delusione dopo 5 anni di Eliseo.