Stasera conosceremo un altro tassello del tormentato panorama politico iberico. L’impalcatura istituzionale messa in piedi dopo la fine della dittatura alla fine degli anni Settanta sta scricchiolando da tempo, ma il primo fragoroso crollo c’è stato dopo le elezioni europee. Una volta dissipata la polvere, gli spagnoli si sono accorti che lo scontento da queste parti si incanala soprattutto a sinistra, che avevano mandato al parlamento europeo una nutrita pattuglia di parlamentari che si sono divisi fra Verdi e Sinistra europea, che un partito nato a gennaio, Podemos, e guidato da un giovane professore col codino aveva fatto il botto tanto quasi da superare il partito di sinistra storico, Izquierda Unida. Ma non basta. Pochi giorni dopo le elezioni, il collante istituzionale della Transición democratica per antonomasia, Juan Carlos di Borbone, decide finalmente di dare un passo indietro e di cedere lo scettro al ben più popolare Felipe. Ancora, Izquierda Unida ha un sussulto: nonostante i buoni risultati si rende conto di non aver sfondato. Il suo capolista alle Europee, Willy Mayer, deputato da varie legislature, è costretto a dimettersi «per coerenza» dopo che si è scoperto che aveva sottoscritto un fondo di pensione privato finanziato con i soldi pubblici. Improvvisamente il segretario generale Cayo Lara mette il suo deputato più giovane e promettente, Alberto Garzón, a capo della «segreteria esecutiva del processo costituente», un nome altisonante che in sostanza significa che con tutta probabilità sarà lui a guidare il partito alle elezioni di fine 2015.

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In questo terremoto elettorale i socialisti hanno perso praticamente la metà dei voti, il peggior risultato della storia. Alla seconda débâcle consecutiva (dopo le politiche del 2011), il segretario generale Alfredo Pérez Rubalcaba ha gettato la spugna. E nel Psoe si è aperto un incertissimo dibattito sulla successione. Il partito aveva già fissato delle primarie aperte alla italiana per il prossimo novembre per scegliere il candidato alla presidenza del governo. Ma i dettagli di questa novità assoluta per la politica spagnola non sono ancora stati discussi, tanto che qualcuno oggi le sta mettendo in forse. D’improvviso i socialisti hanno dovuto decidere come procedere all’elezione del nuovo segretario. Nelle prime settimane enormi pressioni sono state fatte su Susana Díaz, l’attuale presidente della potentissima federazione andalusa (nonché a capo del governo regionale, uno dei pochi a guida socialista e l’unico in coalizione con Izquierda Unida). Praticamente tutti i baroni del partito si erano esposti in suo favore. Ma alla fine Díaz ha fatto un passo indietro, in attesa di capire se puntare direttamente al governo. A questo punto i giochi erano aperti. Uno degli altri possibili candidati, il basco Eduardo Madina, lancia la bomba: e perché non far votare tutti i militanti direttamente? Nella giovane democrazia spagnola nessun partito ha mai eletto il suo segretario attraverso il voto diretto dei suoi affiliati. Passano alcuni giorni di nervosismo. E alla fine Rubalcaba, appoggiato dal consiglio federale cede: elezioni aperte. Gli unici tre che riescono a raccogliere le firme sono Eduardo Madina, Pedro Sánchez Castejón e José Antonio Pérez Tapias.

 

I tre hanno percorso in lungo e in largo il paese con un occhio ai due serbatoi del voto del Psoe: l’Andalusia – che nonostante le perdite, continua a essere praticamente l’unica roccaforte socialista – e la Catalogna, dove invece ormai i socialisti sono diventati marginali, dilaniati dal conflitto indipendentista. Anche il segretario regionale Pere Navarro è stato costretto a dimettersi dopo le elezioni, già sostituito dal «traghettatore» di un partito in rovina, Miguel Iceta, votato anche qui dai 20mila militanti. Ma nel loro caso il candidato era unico.

A livello nazionale, i tesserati socialisti con diritto al voto oggi sono 198.123. Nessuno dei tre candidati rivoluzionerà il partito. Ma tutti e tre si sono impegnati ad appoggiare le primarie di novembre. L’incertezza principale sarà comunque l’affluenza: senza un appoggio significativo della base, nessun segretario riuscirà ad avere qualche chance di rianimare un partito boccheggiante.