È stato arrestato subito dopo l’interrogatorio, a seguito di una sorta di «prova suprema» raccolta dagli investigatori, ovvero il passaggio di mazzette (con personale dei servizi segreti nella parte dei «corruttori»). A dire il vero nella giornata di ieri alcuni media russi – rendendo dunque un quadro diverso rispetto all’inizio della giornata – hanno parlato di «intenzione»a recuperare la mazzetta depositata in una cassetta di sicurezza.

Non cambia l’esito: con grande stupore in tutto il paese è finito in manette il ministro dello sviluppo economico, Alexey Ulyukayev (60 anni), già a capo della banca centrale di Mosca e considerato un «liberale» nella compagine di governo. L’accusa è quella di aver forzato la tangente di due milioni di dollari per dare «la valutazione positiva all’operazione che ha permesso alla Rosneft di completare l’accordo per l’acquisto del 50% detenuto dal governo del capitale della Bashneft», come ha spiegato il vicecapo del comitato investigativo Svetlana Petrenko. Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha dichiarato al canale Russia Today che le accuse contro Ulyukayev sono «molto serie» e necessitano «di prove molto serie», e che «in ogni caso solo un tribunale può decidere». Secondo quanto emerso ieri, il ministro dell’Economia russo Ulyukayev sarebbe stato sotto indagine da almeno un anno, seguito e monitorato dai servizi segreti (e non dal Comitato investigativo e questo è un dato da tenere presente) e lo stesso presidente Putin – già considerato da ambienti liberali non proprio estraneo ai fatti – sarebbe stato avvisato del suo arresto.

Ulyukayev ora rischia 15 anni di carcere, anche se la vicenda in realtà sembra poter scoperchiare ben altre verità in seno ai circoli di potere che ruotano intorno a Putin e che gestiscono, di fatto, il paese. Ci sono molti punti oscuri e potenziali dietrologie. Ad esempio Oleg Feoktistov, papavero della icurezza interna dell’FSB – sezione che monitorava il ministro – che ad agosto 2016 è diventare capo della sicurezza di Rosneft. Inoltre, nei mesi scorsi, l’acquisizione «petrolifera» era stata osteggiata da alcuni «liberal» all’interno del governo russo, tra i quali lo stesso Ulyukayev. In questo caso il gruppo di «contrari» sarebbe finito contro uno degli uomini più potenti del paese, ovvero Igor Sechin, ex spia, alleato di ferro di Vladimir Putin e soprattutto amministratore delegato della Rosneft (nata nel 2003 sulle ceneri della Yukos di Mikhail Khodorkovsky, arrestato e poi scarcerato solo nel 2013) a sua volta direttamente controllata dal Cremlino.

Ieri Ulyukayev, ha definito l’arresto una «provocazione» secondo quanto riferito dal suo avvocato Timofei Gridnev secondo il quale Ulyukayev «respinge con forza le accuse, sostenendo che ciò che è accaduto ieri in ufficio della Rosneft è una sfida nei confronti di un funzionario del governo».  «L’arresto del ministro Aleksey Ulyukayev va oltre la mia comprensione» ha detto ieri il primo ministro russo Dmitri Medvedev, aggiungendo che «si tratta di un fatto grave e storie come la sua significano che nessun rappresentante del governo è immune dalla magistratura».

Secondo i primi commenti che provengono dalla Russia, la notizia ha provocato stupore e una valanga di altri ragionamenti: da tempo Putin ha lanciato una campagna anti corruzione che sembra principalmente uno strumento per regolare conti all’interno del paese. Putin tiene solitamente in equilibrio tanto le forze più vicine a lui quanto quelle più liberali.

Evidentemente in questo caso ha voluto dare un segnale. Anche perché rimane davvero un mistero come una persona dell’esperienza di Ulyukayev possa aver pensato di chiedere una tangente proprio all’azienda di una delle persone più potenti del paese e più vicine a Putin. Un errore clamoroso, eventualmente, pensare di poterla fare franca nella Russia odierna.