Se non fosse imbalsamato nel mausoleo sulla Piazza Rossa, quell’uomo che rovesciò l’autocrazia e il debole capitalismo russo si girerebbe forse nella bara a sentir dire che chi specula in valuta non è un delinquente, ma semplicemente uno che «crea per sé una situazione favorevole» e, comunque, ha detto Putin, «non è prevista l’introduzione della vendita obbligatoria delle entrate in valuta degli esportatori». Queste, alcune delle espressioni colorite usate da Vladimir Putin nel corso della sua decima conferenza stampa di fine anno. Subito dopo di esse, euro e dollaro hanno frenato la corsa.

Nel giorno in cui il Consiglio d’Europa ha adottato nuove sanzioni (nei settori commerciali e turistici) contro la Crimea; in cui Matteo Renzi, anticipando alcuni temi di quello stesso Consiglio e interpellato sull’opportunità di nuove sanzioni, ha risposto «assolutamente no, il punto non è questo ma una strategia che porti la Russia fuori dall’Ucraina»; nel giorno in cui il Dipartimento di Stato USA ha clamorosamente smentito la propria portavoce ufficiale sulle nuove sanzioni americane contro la Russia (Obama non ha firmato la relativa risoluzione del Congresso), Vladimir Vladimirovic ha risposto per oltre tre ore alle domande dei 1.259 giornalisti accreditati.
Se il grosso dei temi ha riguardato le questioni economiche, che negli ultimissimi giorni hanno tenuto col fiato sospeso (ma la boccata d’ossigeno è forse ancora prematura) non solo i risparmiatori russi, ma anche buona parte delle imprese occidentali a vario titolo legate a settori economici russo, non potevano certo rimanere in secondo piano i temi della situazione ucraina, dei voli militari russi sul Baltico, dell’orientamento verso est e sud (Cina, India, Turchia, ecc) dell’industria russa, contro il muro delle sanzioni, la cui «influenza sugli attuali problemi della Russia è del 25-30%».

A proposito di muri, Putin ha ricordato come dalla caduta di quello di Berlino, “i nostri partner occidentali” non abbiano mai smesso di innalzare muri intorno alla Russia, allargando sempre più verso est le forze della Nato e stabilendo basi militari sempre più vicine alle frontiere russe, «mentre noi abbiamo solo due basi all’estero, in Kirghizia e Tadgikstan. Pensano di essere un impero e noi i loro vassalli». E se la Russia postsovietica aveva sospeso i voli dell’aviazione strategica, riprendendoli solamente un paio di anni fa, lo ha fatto in risposta a quelli mai interrotti delle forze americane e Nato. «Guardate il nostro bilancio della difesa» ha detto Putin, «è un decimo di quello americano. E alle nostre proposte di dialogo hanno sempre risposto “non sono affari vostri”; così è stato anche per l’Ucraina: «oggi penso che il presidente Poroshenko voglia veramente la pace, ma a Kiev non è solo e altri parlano di guerra continentale. Quando Mosca aveva proposto il rispetto dell’accordo del 21 febbraio per un governo di coalizione, sottoscritto tra il presidente Janukovic e l’opposizione e controfirmato da Polonia, Francia e Germania, ci dissero “non vi immischiate” e ci fu il golpe».

Putin ha sottolineato che, da parte sua, non teme nessun colpo di stato, nessuna “rivoluzione colorata” di nessuna élite, «perché l’unica élite è il popolo che lavora e su cui si regge l’intero paese. Il potere non organizza alcuna persecuzione contro chi non è d’accordo con la nostra azione, ad esempio, in Crimea o in Ucraina o in Russia», pur se la linea che divide l’opposizione, che lavora per il bene della patria, dalla “quinta colonna, al servizio dello straniero” è spesso molto sottile: «la gente sente che noi e io in particolare, agiamo negli interessi dei cittadini russi». Nei confronti dei quali intende conservare tutte le garanzie sociali: indicizzazione di salari e pensioni, alloggi, ecc.

Tornando ai temi caldi del momento, Putin si è detto convinto che la Russia, al massimo nel giro di un paio d’anni, uscirà rafforzata dalla crisi. La «certezza è data dalla giusta politica macroeconomica e dai fondi di riserva per gli obiettivi sociali», pur se la caduta del prezzo del petrolio richiede una certa diversificazione dell’economia. In tutto ciò, «il principale difensore degli interessi dei cittadini e dei businessmen russi, può essere soltanto un forte Stato russo» difendendo con ciò anche l’operato della banca centrale (le cui riserve ammontano a 419 miliardi di dollari) criticato da più parti nei giorni scorsi. In definitiva «bisogna garantire la libertà di impresa e la proprietà» e riguardo alla ventilata amnistia per i capitali «la questione non è il rientro dei capitali. La questione è quella della legalizzazione. Se un’impresa vuol mantenere denaro e proprietà all’estero, che lo mantenga»!