Il successo del primo film, La mafia uccide solo d’estate, era stato una sorpresa e così forse anche per non rischiare troppo – si sa che il secondo film è sempre la prova più difficile specie dopo un esordio molto acclamato – l’eclettico Pif, volto di punta della nuova stagione Rai campodallortiana, ha puntato sugli stessi temi della sua opera prima: la Sicilia e la mafia. Anzi In guerra per amore ne è quasi una variazione – un prequel se lo guardiamo dal punto di vista storico – in cui ritroviamo il suo alter ego sullo schermo, Arturo Giammaresi e persino quasi morettianamente (ricordate che nei film di Moretti tutte le donne amate fino a un certo punto di chiamavano Silvia) il nome dell’innamorata che anche stavolta si chiama Flora.

 

 

 
Ma dai ricordi  cupi di ragazzino Pierfrancesco Diliberto sposta appunto le lancette del tempo cercando le origini di quelle nefandezze che sono poi diventate il paesaggio quotidiano della sua infanzia. In guerra per amore – in sala il 27 ottobre – ci porta infatti negli anni della seconda guerra mondiale, tra l’Italia e gli Stati uniti. Gli americani per preparare il terreno allo strategico sbarco in Sicilia si rivolgono alla criminalità, Lucky Luciano in persona dal carcere fornisce agli alti comandi militari i nomi degli «amici» giusti che gli permetteranno di conquistare l’isola senza una perdita. O quasi. Certo ci sarà un prezzo da pagare, «dettagli» come la liberazione dei criminali peggiori, tutti affiliati e picciotti fatti passare per oppositori politici al fascismo, e la riaffermazione del potere mafioso che conquisterà l’isola e la politica promettendo sotto il simbolo del nuovo partito nato dal dopoguerra, la Dc, la democrazia. Ma agli americani non importa: come chiosa sul campo il maggiore si tratta di politica mentre loro sono lì per sconfiggere Hitler.

 

 

 
Pif dispiega tutti gli elementi del film «impegnato», che ambisce alla denuncia e al confronto coi grandi temi, la Storia e le distorsioni tragiche dell’Italia post-bellica, dosando nella sceneggiatura (scritta da lui con Michele Astori e Mario Martani ) gag, lacrimucce, gli stereotipi della sicilianità e una galleria di personaggi da commedia: la giovane vedova di guerra, il bambino che non smette di aspettare il suo papà cercando le parole della canzone che gli canticchiava prima di partire per il fronte le cui parole sono state cancellate nella lettera che porta sempre con sé dalla censura fascista. La vecchietta con la madonnina, il nonno con la statua del duce a braccio teso (che però butterà dalla finestra), i mafiosi con coppola e baffoni, una strana coppia di vagabondi, quasi il Gatto e la Volpe, uno cieco, l’altro zoppo che si amano ma devono nasconderlo anche a sé stessi – «non ci possiamo permettere di essere pure ’arrusi’» dice il cieco all’amico.

 

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La patina vintage caramello,una specie di Amélie Poulain alla siciliana, si mescola allo stile da Iena (e del Testimone), assertivo (aggressivo) e «o bianco o nero» con cui vengono snocciolati gli eventi: i fatti sono chiari e pure i colpevoli (gli americani), una semplificazione anche questa molto efficace e rassicurante, persino catartica che trova alle domande tutte le risposte.
Arturo è l’io narrante – Pif lo definisce un «Forrest Gump» – che parte «in guerra per amore». Svagato, figlio di emigrati in America, povero, l’esercito è la sua sola possibilità di arrivare in Sicilia per chiedere la mano della ragazza che ama, Flora (Miriam Leone). Lo zio, anche suo datore di lavoro nel ristorante «da Alfredo» – tutto Little Italy – l’ha promessa come moglie al figlio di un capo mafioso suo socio e nonostante gli sforzi che la ragazza fa per impedirlo il matrimonio sembra inevitabile.

 

 

 
Testimone inconsapevole della storia, Arturo è l’immagine perfetta del siciliano (italiano?) concentrato esclusivamente sul proprio orizzonte privato e incapace di vedere (anche per opportunismo) ciò che gli accade intorno. Scoprirà la sua coscienza grazie al luogotenente Catelli (Andrea Di Stefano) anche lui figlio di emigrati italiani che alla guerra è partito per amore del suo Paese, una fiducia distrutta dalle azioni compiute sull’isola.
Nel finale vengono esibiti i documenti del rapporto Scotten, un militare americano, sull’allarme mafia in Sicilia mentre Arturo attende invano una risposta del presidente Roosevelt. È tutto vero, dunque, lo sapevamo già ma ci sentiamo rassicurati.