Pubblico delle grandi occasioni alla Casa del Jazz, con il trio Jack DeJohnette (batteria), Ravi Coltrane (sax tenore, soprano, sopranino) e Matthew Garrison (basso elettrico, elettronica), ensemble quotatissimo e che il numero di giugno della rivista statunitense «down beat» ha messo in copertina in occasione dell’uscita recente, su etichetta Ecm, dell’album In Movement.

Ulteriori elementi di interesse per l’inedita formazione, la cui musica è apparsa fluida e scabra, a tratti astratta, innervata da cicli ritmici quanto attraversata da manipolazioni elettroniche (opera del giovane Garrison). Un jazz davvero in movimento, anche se qua e là ha lasciato intravedere le proprie radici. A parte il bis (un blues dedicato a Lee Morgan, scandito alla maniera del soul-jazz) il trio ha suonato tanta musica ora dilatandola nello spazio ora addensandola in modo quasi materico.

Così Alabama di John Coltrane, uno dei suoi rari brani legati alla cronaca (attentato omicida del KKK in una chiesa battista) si è riconosciuto solo alla fine, quando ne è stato eseguito il dolente tema. Ritmico-timbrico il disegno di Two Jimmys, costruito nell’evocazione intrecciata del magistero di Jimmy Garrison (propulsore fondamentale nel quartetto di John Coltrane) e di quello di Jimi Hendrix. Matthew Garrison estrae dal suo basso elettrico suoni chitarristici e li manipola con disinvoltura, seguito agilmente dal drumming di DeJohnette e dalle ance di Ravi Coltrane.

Il suo sopranino microtonale ricorda da vicino quello di Roscoe Mitchell in un altro brano dedicato, quel Rashied suonato quasi completamente in duo con il batterista: un ritratto di Rahied Ali, motore ritmico dell’ultima stagione free di Trane senior. DeJohnette in un episodio (Soulful Ballad) lascia il grande set batteristico bianco che domina la scena per sedersi al piano e duettare con il tenore di Ravi Coltrane: un’intesa magnetica, con momenti di intensa poesia.

Riferendosi alla registrazione in studio con il trio, il batterista ha dichiarato: «Siamo connessi a livelli molto alti e profondi e ciò avviene attraverso la musica ». Il pubblico romano è apparso un po’ tiepido, combattuto tra deferenza e qualche perplessità tanto è che Matthew Garrison lo ha invitato alla standing ovation indicando Jack DeJohnette che, in effetti, è un gigante del jazz dal 1968: aveva ventisei anni e suonava con Coltrane, Monk, Davis, Jackie McLean, Stan Getz…