Aveva iniziato Paolo Cucchiarelli con Il segreto di piazza Fontana (Ponte alle Grazie), un testo infarcito di invenzioni su Pietro Valpreda e Giuseppe Pinelli. Un ponderoso volume (700 pagine) costruito su una serie di falsità, con infiltrati fascisti (Mauro Meli) nel Circolo anarchico Ponte della Ghisolfa mai esistiti, con presunti stragisti (Claudio Orsi) già prosciolti nella prima istruttoria, visto che il 12 dicembre 1969 si trovavano a centinaia di chilometri da Milano, per finire con l’accusa all’attuale direttore di «A Rivista anarchica» di essere l’anarchico (in realtà mai esistito) che non avrebbe allora confermato l’alibi di Pinelli. Accusa che è stato costretto a ritrattare con un’inserzione a pagamento sul «Corriere della sera» e su «La Stampa».

Nella richiesta di archiviazione inoltrata al gip, nel maggio 2012, dai pm di Milano, accolta solo qualche giorno fa, circa l’ultimo stralcio di indagini sulla strage di piazza Fontana, le tesi di Cucchiarelli relative all’esistenza di una «doppia bomba» e al coinvolgimento di Valpreda e Pinelli sono state definite di «assoluta inverosimiglianza», così come «le dichiarazioni della fonte anonima in questione, utilizzate dal giornalista palesemente prive di fondamento».

Nello stesso solco Stefania Limiti che ha invece teso, con alcune sue pubblicazioni, a rivisitare la storia di questo secondo dopoguerra producendosi in forzature della realtà. Illuminante l’introduzione de Il complotto. La controinchiesta segreta dei Kennedy sull’omicidio di JFK (Nutrimenti), con postfazione del solito Cucchiarelli, in cui si ipotizza che lo «schema operativo» approntato per assassinare nel 1963 il presidente americano sia stato utilizzato anche per la strage di piazza Fontana, con Valpreda al posto di Lee Oswald, mero burattino nelle mani di fascisti e servizi segreti (la stessa tesi de Il segreto di Piazza Fontana). Emerge in questi due autori un’ossessione per il «doppio» (le doppie bombe, le doppie identità), per cui tutti i protagonisti, loro malgrado, si palesano unicamente come marionette nelle mani degli apparati o dell’estrema destra.

Il mutante

Ora è la volta de L’infiltrato di Egidio Ceccato (Ponte alle Grazie, pp. 324, euro 14, introduzione di Paolo Cucchiarelli), di genere fantastico se non avesse la pretesa di considerarsi un lavoro storico. Spiace dirlo. Qui si racconta delle presunte vicende di tale Berardino Andreola, già coinvolto nel 1975 nel fallito sequestro in Sicilia dell’ex senatore democristiano Graziano Verzotto. Un delinquente comune, figlio di un maresciallo dell’ Ovra e lui stesso fascista, più volte condannato per truffa, traffico d’armi e altri reati comuni, ma dipinto da Ceccato come abile spia di un oscuro servizio tedesco. Ebbene, ai tempi di Piazza Fontana questa stessa persona si sarebbe «trasformata», a fini di provocazione, assumendo nel tempo le generalità di ben altri quattro personaggi che realmente si incontrano nella storia della strage e negli «anni di piombo».

I personaggi via via interpretati sono: un confidente di Allegra e Calabresi di nome Giuseppe Chittaro Iob, poi un tale Giuliano De Fonseca, in seguito tale Umberto Rai e infine un certo Gunther. Tutti costoro sarebbero la stessa persona, ovvero l’Andreola. Fin qui si potrebbe trattare di fantasie, di cui il Ceccato si assume la responsabilità. Ma l’autore dà anche per certo che il Chittaro si sarebbe davvero infiltrato fra gli sprovveduti anarchici, insistendo sui: «contatti di Chittaro/Andreola con noti anarchici milanesi…». Lo stesso Andreola sarebbe poi entrato in ralazione, questa volta con il nome di Umberto Rai, con Giangiacomo Feltrinelli ed è con il nome di Gunther, sotto il traliccio di Segrate nel 1972, che l’Andreola/Gunther ne avrebbe volontariamente causato la morte grazie alla manipolazione del timer che l’editore stava maneggiando, per poi dedicarsi, con il nome di De Fonseca, al depistaggio delle indagini sulla sua morte. Il tutto senza fornire il minimo riscontro o lo straccio di una prova. Sarebbe invero stata sufficiente qualche verifica. Ma così non è stato. Una verifica sull’età dei diversi personaggi ci dice che Andreola nacque a Roma nel 1928; Chittaro, come da certificato anagrafico di nascita, a Udine nel 1940; Rai nasce a Milano nel 1923, come da documentazione della Questura di Milano e dal mandatodi fermo del 15 Dicembre 1969, mentre il Gunther risulta nato fra il 1927 e il 1931. Quanto alle morti, si sa di Andreola nel 1983, a 55 anni e di Gunther nel 1977. Da altre verifiche si apprende anche che nel 1975 l’Andreola, dal carcere di Palermo, si propose come informatore sulle Br ai giudici di Torino, che dopo averlo sentito lo bollarono per «manifesta inattendibilità» e «calunnia».

Ma chi erano nella realtà storica questi personaggi? Chittaro, di corporatura media, era un mitomane che bazzicava l’ex hotel Commercio e l’allora casa dello studente occupata e dal quale il capo della polizia Allegra sperava di trarre confidenze per accusare gli anarchici, tanto da inviare il commissario Calabresi a Basilea per un incontro il giorno dopo la strage di piazza Fontana, trasferta che si rivelerà del tutto infruttuosa. Gunther era il soprannome di Ernesto Grassi, che non era un traditore né un assassino e non ha manipolato alcun timer, ma era operaio in una fabbrica di Bruzzano, con un’esperienza di partigiano in Valtellina, faceva parte dei Gap di Feltrinelli e la tragica sera del 1972 era davvero con l’editore, ma doveva occuparsi del traliccio di Gaggiano e non di Segrate. Chi lo ha conosciuto descrive Gunther come piccolo e minuto. Umberto Rai era al contrario molto alto e robusto, di professione pittore, fermato a Milano dopo la strage, cui furono chieste invano confidenze sugli anarchici. Il Rai, nel 1969, testimoniò in Germania al processo per la strage nazista di ebrei del settembre 1943 a Meina sul Lago Maggiore, ma fu ritenuto inaffidabile dalla Corte. Andreola, nell’unica foto pubblicata nel libro e scattata nel 1977, appare un tipo normale e un po’ sovrappeso.

Le sorprese del libro non finiscono qui: l’autore non dà nulla per certo, ma lascia intendere che anche la morte dell’anarchico Pinelli e del commissario Calabresi sarebbero in larga misura riconducibili al ruolo del Chittaro/Andreola: quello di confidente «infiltrato negli ambienti anarchici», che Pinelli avrebbe capito quella notte in questura, condannandosi così a morte. Mentre per Calabresi «non è da escludere neppure che egli stesse indagando sulla vera identità e sulla reale collocazione politica del soggetto incontrato a Basilea il 13 dicembre 1969 e presentatosi col nome di Giuseppe Chittaro».

L’anonimo Mister X

Il contenuto di fondo del libro è che la strategia della tensione fu opera della parte più retriva della destra italiana, con la complicità di Cia & Co e il ruolo chiave dell’Ufficio Affari Riservati, e fino a qui e senza entrare in dettagli, siamo alla versione ormai accettata da tutti. Ma la tesi che ci sta dentro è sempre quella degli anarchici sprovveduti e infiltrati, del Feltrinelli ingenuo e manipolato e, come si suggerisce, anche degli «eterodiretti» militanti di Lotta Continua, condannati per l’uccisione di Calabresi, che come burattini tirati da fili malefici eseguivano i calcolati disegni delle forze oscure della destra eversiva. Come Cucchiarelli Ceccato non riesce ad accettare che Pinelli, Valpreda e gli anarchici, non c’entrassero nulla con la bombe del 12 dicembre e che quello di Feltrinelli sia stato un incidente. Nelle pagine di questo libro fa capolino un misterioso Mister X, chiamato «Anonimo mafioso», intento a raccontarci di vicende tanto oscure quanto indimostrabili.

Siamo, in ultima analisi, di fronte a un tentativo assai grossolano di intossicazione, consapevole o no che sia, di un pezzo di storia negli anni della strategia della tensione. Ceccato ha detto in una intervista che: «su chi è stato (l’Andreola, [n.d.r.) e su quanto ha fatto esistono riscontri ben precisi, capaci di riscrivere una nuova verità storica con cui la società, non solo italiana, dovrà per forza fare i conti».

Trame e complotti contrassegnarono davvero quel periodo e la verità storica deve essere scritta. Ma un conto è studiarla, altro è inventarla.