Berlusconi si autocertifica capo del centrodestra, e dichiara che non mollerà. Al tempo stesso, riparte la pressione per la sua agibilità politica. Che senso ha? Come potrebbe essere e rimanere capo se non fosse già ora politicamente agibile, condanna o non condanna? Capiremmo se si fosse dimesso da ogni carica e avesse lasciato la politica attiva. Ma ha fatto esattamente il contrario. Sta addirittura rifondando Forza Italia. Dunque, cosa vuole davvero il Pdl?
A sentire, tutto: grazia, commutazione di pena, riabilitazione, amnistia, mantenimento della carica di senatore. Il punto è che – come sta emergendo dai commenti – le richieste hanno un oggetto impossibile o inutile. Il problema Berlusconi nasce dalla condanna definitiva e dalla legge Severino-Monti. La prima è un presupposto di fatto per l’applicazione della seconda. Il fatto di essere stato condannato in via definitiva determina l’impossibilità di mantenere la carica elettiva, di ricoprire cariche di governo, e di essere candidato. Qualunque ragionamento giuridico deve fondarsi sulla premessa che il fatto esista. Infatti, la grazia, la commutazione di pena, la riabilitazione presuppongono che la condanna vi sia stata. Ugualmente, Berlusconi sconterà un solo anno per l’applicazione di un indulto all’originaria pena, che rimane di quattro anni. Dunque, il presupposto di fatto della Severino-Monti si è realizzato, e la legge conseguentemente si applica. In realtà, si potrebbe spezzare questo circuito solo in due modi.
Il primo: incidendo sulla sentenza come tale. Ma questa via è preclusa dalla separazione dei poteri e dal giudicato, e un intervento del legislatore sarebbe incostituzionale. Il punto fu chiaramente posto da Napolitano quando rifiutò di emanare il decreto-legge con cui il centrodestra di governo voleva superare gli effetti di una pronuncia della Corte di cassazione nel caso Englaro.
Il secondo: abrogando o limando retroattivamente la Severino-Monti. Basterebbe qualche ritocco. Questa via sarebbe forse percorribile dal punto di vista della costituzionalità, ma dobbiamo sperare che sia preclusa dai numeri parlamentari. Con equilibri diversi – come insegnano lodi e leggi-vergogna – basterebbero pochi giorni o settimane.

Quanto a Napolitano, ha già detto molto. Ha riconosciuto la leadership di Berlusconi, e ha aperto su una riforma della giustizia. Valuterà, se viene richiesta, una grazia, che non potrà concedere visto che il potere è suo – come è stato bene scritto su queste pagine – per una ragione umanitaria lontanissima dalla ragion politica del caso specifico. Sarebbe eccessivo trarre da un’eventuale grazia l’esito di una messa in accusa per attentato alla Costituzione, come vorrebbe M5S. Ma intanto non è probabile che Napolitano si spinga oltre.
La condizione di Berlusconi condannato non sembra dunque modificabile per le vie del diritto o della politica. La sua autocertificazione di leadership ci fa pensare che ne sia consapevole. E allora?
Forse la chiave è nei primi sintomi di ripresa segnalati per la fine di quest’anno o l’inizio del prossimo. Letta ci si è aggrappato. Ma per il suo governo il successo può essere paradossale premessa di morte. È difficile sfuggire alla sensazione che – “rebus sic stantibus” – non appena si esce un po’ dalla crisi il centrodestra si avvii di corsa alle urne. Per la leadership di Berlusconi un tempo lungo potrebbe aprire a rischi reali. Se invece in elezioni a breve vincesse il centrodestra, il nuovo legislatore potrebbe subito rifargli una verginità. E non si dica che Napolitano può blindare questo governo o un altro, o la legislatura. In realtà, può farlo solo fino a quando glielo lasciano fare, per debolezza o valutazioni di convenienza, i soggetti politici in parlamento. Se Berlusconi staccasse la spina, su qualsiasi scenario sarebbero decisive le scelte – fatte o mancate – di Pd e M5S. Questo è un dato certo in una forma di governo parlamentare come la nostra.
Oggi, la lamentazione sul martirio del capo serve al Pdl per mettere sotto pressione il governo e gli avversari-alleati. È più facile così lavorare per qualche risultato buono in campagna elettorale, come l’Imu. E al tempo stesso contrastare leggi sgradite, come l’omofobia, la modifica della Bossi-Fini, o lo jus soli per la cittadinanza. In fondo, questo la politica ci consegna nelle ultime settimane, salvo il tormentone del congresso Pd.

Allora il chiasso è rappresentazione teatrale? In buona parte sì. Ma non dimentichiamo che nel teatrino della politica i coltelli non sono mai da scena.