Man mano che si posa la polvere degli attentati all’aeroporto internazionale di Zaventem e alla fermata della metropolitana di Maelbeek, emergono le prime verità. In estrema sintesi, le stragi di Parigi e Bruxelles sarebbero state pianificate a Raqqa, la capitale dello Stato islamico in Siria, e sarebbero state compiute da un’unica cellula jihadista. In più, cominciano a venire a galla una serie di tragici errori e omissioni dei servizi di sicurezza belgi, in una città in cui il primo attentato jihadista, al Museo ebraico (quattro morti), risale ormai a due anni fa. Ieri sera, il governo turco ha fatto sapere che uno dei due kamikaze dell’aeroporto, Ibrahim el Bakraoui, era stato fermato in Turchia a giugno ed estradato in Belgio, dove era stato poi scarcerato per mancanza di indizi. Come quasi tutti i componenti della cellula jihadista che ha insanguinato l’Europa, aveva precedenti per reati comuni: nel 2010 era stato condannato a nove anni di carcere per aver sparato contro la polizia. Il New York Times ha inoltre rivelato che suo fratello Khaled (pure lui con qualche piccolo precedente penale: nel 2011 era stato condannato a cinque anni di reclusione per il furto di un’auto), che dopo essere stato inquadrato dalle telecamere interne dell’aeroporto insieme a Ibrahim e a una terza persona non identificata se n’è andato a farsi esplodere dall’altra parte della città, tra le fermate della metropolitana Schumann (quella della Commissione Ue) e Maelbeek (del Parlamento europeo), era stato segnalato dall’Interpol con un avviso di livello «rosso» per terrorismo ed era ricercato da agosto. Com’è possibile che non siano stati tenuti d’occhio, anzi se li siano lasciati sfuggire? Il quotidiano israeliano Haaretz ha aggiunto un ulteriore dettaglio: i servizi belgi avevano ricevuto precisi avvertimenti sugli attentati di martedì, dunque sapevano che un attacco all’aeroporto e alla metropolitana era imminente. Ma non hanno messo in piedi adeguate misure di intelligence e di sicurezza.

Errore per errore, è risultato invece provvidenziale quello della compagnia di taxi chiamata dagli attentatori nel covo di Schaerbeek (dove sono stati trovati, insieme a drappi neri dell’Isis, «150 litri di acetone, 30 litri di acqua ossigenata, una valigia piena di chiodi e viti e altro materiale destinato al confezionamento di ordigni esplosivi», nonché «15 chili di esplosivo», ha spiegato il procuratore federale Frederic van Leeuw): invece del minivan richiesto si è presentata una normale vettura, il che ha reso impossibile ai terroristi trasportare la quarta bomba, la più potente.

Quel che è chiaro è che il gruppo è lo stesso delle stragi parigine di novembre. Ibrahim el Bakraoui, passaporto belga e delle Bahamas, aveva affittato l’appartamento di Charleroi da dove era partito il commando diretto nella capitale francese, mentre pure il secondo kamikaze dell’aeroporto di Bruxelles, Najim Laachraoui, era reduce dagli attentati di Parigi: il suo dna è stato rinvenuto sul materiale esplosivo allo Stade de France di Parigi e al Bataclan. Inoltre una sua impronta è stata ritrovata in un appartamento di Bruxelles nel quale sono state ritrovate tracce di dna del super-ricercato per le stragi francesi Salah Abdeslam e di Bilal Hadfi, un altro degli attentatori di Parigi. Pure Laachraoui, passaporto belga, era un foreign fighter rientrato dalla Siria: all’inizio di settembre era stato fermato in auto al confine tra Austria e Ungheria, sotto il falso nome di Soufiane Kayal, insieme a Salah Abdeslam e all’algerino Mohamed Belkaid, ucciso la settimana scorsa nel blitz delle teste di cuoio belghe a Forest, a sud-ovest della città. Pure quest’ultimo era coinvolto negli attentati di Parigi: le sue impronte digitali erano state ritrovate su un cellulare gettato in un cesto della spazzatura davanti al Bataclan.

Nell’appartamento di Forest, dove gli agenti hanno fatto irruzione in pieno giorno, mettendo a rischio la vita dei passanti e dei ragazzini di una vicina scuola, ci sarebbero stati pure Salah Abdeslam e i fratelli el Bakraoui. Sfuggiti alla cattura, quest’ultimi si sono rifugiati a Schaerbeek, appunto, mentre Salah Abdeslam si è nascosto a Molenbeek, dov’è stato catturato due giorni dopo. Probabilmente è stata proprio la fine della fuga della “primula rossa” del jihadismo europeo che ha spinto quel che rimaneva del commando ad anticipare i tempi e passare all’azione. Lo si intuisce dai file audio, una sorta di testamento indirizzato alla madre e a un cugino, ritrovati su un computer buttato nella spazzatura nell’appartamento di Schaerbeek: i due fratelli dicono di «non sapere cosa fare», di essere nel «panico» e di «doversi sbrigare» per «vendicare l’arresto di Salah Abdeslam e la morte di Belkaid». Sentivano stringersi la morsa attorno a loro e Ibrahim dice di «non voler finire in una cella accanto a quella di Salah Abdeslam».

Così, l’altra mattina sono partiti in quattro (l’ultimo attentatore, ripreso con una giacca bianca e il cappello al fianco dei fratelli el Bakraoui, non è stato ancora identificato e sarebbe in fuga) in direzione dell’aeroporto, con un taxi e due automobili, carichi di esplosivo e con una bomba in meno. Lì hanno avuto il tempo per farsi esplodere davanti ai check in dell’American airlines, Ibrahim e Laachraaoui, il terzo non identificato per lasciare un altro borsone con un’altra bomba che per fortuna non è esplosa e Khalid per tornare in città e un’ora dopo colpire ancora nel quartiere delle istituzioni europee. Senza che nessuno li fermasse.

La domanda ora è: quanti jihadisti mancano all’appello? Di sicuro il quarto attentatore, quello del video. Poi filmato con Salah in una stazione di servizio tra Parigi e Bruxelles dopo gli attentati francesi e da allora eclissatosi. Ma potrebbero essere molti di più. Dalla Siria sarebbero rientrati in Belgio una novantina di foreign fighters e solo trenta sono stati bloccati. Non si sa neppure quanto sia vasta l’area di supporto e consenso, specie in quartieri come Molenbeek dove la polizia che ha arrestato Salah è stata contestata, il che però non voler significare molto. Stando a quanto accertato finora, il bacino di simpatizzanti va cercato nel sottobosco della malavita cittadina.