Se al ritorno dalle vacanze qualche amica mi dicesse «voglio fare un bambino» le risponderei terrorizzata: «ma sei sicura, non è che preferisci prenotarti un weekend lungo a Berlino per il festival?». I bambini sono sguaiati. I bambini sono capricciosi sono litigiosi sono dispettosi. I bambini sono invidiosi rumorosi permalosi. Sono accidiosi, presuntosi, lamentosi. E sono sempre figli di qualcuno, una madre o un padre, che si prostra ai loro piccoli piedi, preziosi discendenti arroganti despoti e duci.
Metti tanti bambini insieme per un mese ad agosto, tre famiglie miste – una coppia con neonato e due ragazze più grandi, una separata con adolescente inquieto e bimba che gioca con le bambole, una moglie con figlia alle elementari in attesa del marito in città – una casa scalcagnata, un unico bagno, la natura in campagna, caldo torrido, letti insufficienti, litigi ricatti vendette crudeli (come solo i piccoli sanno architettare), giochi notturni tra adulti consenzienti, shakera a dovere ed ecco il cocktail esplosivo dell’estate. Questa, per sommi capi, la trama di Je déteste les enfants des autres (Anne Fassio, attrice e regista, 2007) di cui si consiglia la visione a chiunque sia membro di una famiglia e stia per partire in vacanza con amici di prole dotati.

Episodi lampanti di nevrosi degli adulti proiettate a bomba sugli infanti: sollecitare continuamente i pargoli con profferte cibarie- chi è dei gemelli ha sempre la testa tra le nuvole non si ricorda mai di mangiare ma al mare, sai, brucia tante di quelle calorie; dimenticare la spanakopita preferita e osservare la crisi di nervi del novenne abituato ad averle tutte vinte – voce grossa petto gonfio occhio minaccioso alla John Wayne, urlo belluino in canna; lasciargli fare la doccia dopo un gelato esageratissimo con il tubo fuori nonostante siano le dieci per farlo smettere di frignare come se lo stessero macellando e, a notte fonda, ritrovarselo nel letto rotolante per il mal di pancia. Tutti abbiamo pregi e difetti tranne loro, i figli degli anni Duemila. Ma fatemi ridere.

Se uno è insopportabile lo è anche da piccolo. Se è dispotico egoista accentratore difficilmente da giovane sarà stato un tipo sereno. Esiste il carattere, esistono i modelli familiari (forse oggi più complessi di decenni fa), esistono metodi pedagogici regolarizzati in tomi dai titoli affascinanti (le madri non sbagliano mai, i no che aiutano a crescere, il bambino consapevole) e poi c’è la vita, il buon senso e la crescita parallela del rapporto tra un figlio e un genitore (che s’imbarca anche lui in un’esperienza unica per la prima volta, poraccio).

Eppure hanno sempre ragione Loro, i minorenni fascisti, vittoriosi in ogni campo: il boccone migliore, il letto più comodo, l’ultimo posto all’ombra. E io (nonostante sia una madre) rosico. E mi ribello. Dico basta allo strapotere infantile, all’universo bambinocentrico, alla politica onnivora del Nano-può-tutto! Con la mano alzata sull’ultimo yogurt odo alle mie spalle: «quello è per Raimondo!». Mollo la presa e esco a fare colazione fuori.

«Dai, prendiamolo per i bambini» davanti a un cocomero da 5 chili. Azzardo un «magari ne mangiamo un po’ anche noi genitori»: fulminata immediatamente da una decina di occhi parentali. Mi sento sempre più solidale con Erode.
E di notte, all’oscuro di grandi e piccini, svuoto la dispensa, un po’ mangio un po’ butto (a sfregio pure dello spreco), così voglio vedere domattina a colazione cosa trangugiano quelle ingorde boccucce affamate. Ahahahah!!!!! (Onomatopea di risata sardonico-diabolica della matrigna delle favole).

Fabianasargentini@alice.it