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Nino De Vita è poeta tra i più visionari di questi ultimi decenni per la sua capacità di toccare con parole essenziali, talvolta crude, il profondo della psiche umana ma anche inoltrarsi in quel misterioso orizzonte della natura. Questi i fulcri essenziali che riemergono come tanti sentieri nel suo ultimo libro dal titolo Antologia (1984-2014), edito da Mesogea (pp. 322, euro 19) che raccoglie poesie scritte in trent’anni e taluni inediti, a cura di Silvio Perrella. La scrittura di Nino De Vita nel suo stile piano, quasi narrativo, mette una sordina al verso che invece riemerge più forte e spiazzante: a leggerlo si è invasi letteralmente da un fiato esistenziale fatto di òmini e animali tutti egualmente parlanti di storie mai scontate in bilico tra un realismo sempre pronto a tracimare in inquietante surrealismo. In tutta la sua produzione poetica scritta nel dialetto di Cutusio, contrada di Marsala, De Vita ha sempre fatto i conti col mysterium mortis ma non attraverso vacue dissertazioni: ce ne parla concretamente attraverso le tante facce che esso assume, magari nell’epilogo delle tragiche vite degli òmini-amici o soffermandosi a volte con fredda disperazione, sulle espressioni attonite di bestie sul punto di essere uccise: «L’allodola stava rannicchiata, / in un solco, accanto / a una zolla ./ Chiudeva e apriva le palpebre / e mi guardava, fisso./».

Nino De Vita da poeta antropologo che è e amico di Sciascia, di quella sua cristallina eticità, ci offre anche spezzoni vissuti e vibranti di ciò che ha voluto dire e vuole dire fenomeno mafioso in Sicilia descrivendo in versi un habitus che occorre tenere per sopravvivere tra gli altri: «La vita in questo angolo di terra, / quello che avevo visto, / quanto avevo ascoltato, mi avevano / come reso maturo, accorto: /…Mi accordai, così, / con il tono delle sue parole: / «È tutto accomodabile…».

Lo sfondo conturbante della scrittura di De Vita è in questo doppio registro, da una parte le gioie, i colori della terra, la semplicità del quotidiano, dall’altra il senso di morte, la sua minaccia. Nino De Vita con i suoi versi, si fa rabdomante, cercatore nel territorio dell’oro, l’oro dell’ascolto, presta orecchio alle storie della sicilianità più profonda e ne ricava un distillato di alta letteratura, di alte verità ultime. Dai grandi scrittori dell’isola come Buttitta, Vincenzo Consolo appunto, Sciascia ma anche Lucio Piccolo, De Vita ha assorbito tra l’altro un modus poetandi che è quello dell’essere appartati per meglio capire, meglio intuire i meccanismi delle relazioni sociali che parlano oscuramente tanto quanto la stessa vita nel momento in cui trasborda in morte e sembra il poeta toccare con la scrittura, questo insondabile accadere tra uomini e natura e restituirlo alla semplice, inquietante verità del suo verso.